Come nel romanzo dell’Ungherese Ferenc Molnar, ma sarebbe più logico per vicinanze geografiche come “I ragazzi della Via Gluck” resa celebre in Italia per la canzone di Celentano, anche noi “I ragazzi della Via Bettino da Trezzo” , un pò come i ninos de rua brasiliani,abbiamo vissuto più di una decina d’anni di vere scorribande di vita vissuta “on the road “ da veri zingari, con lotte intestine contro i ragazzi delle altre Vie vicine, Via Rho, Viale delle Rimembranze di Greco, Via De Marchi.
Via Bettino da Trezzo si trova a Milano, nel quartiere di Greco, noto forse più per l’omonimo cimitero dove oggi riposa mia mamma.I miei vi avevano acquistato nel 1954 un bilocale con cucina abitabile, e lì siamo nati io, Vito e Lele, per la precisione degli eventi rispettivamente io alla S.Camillo, Vito al Niguarda e Lele alla Macedonio Melloni. Greco dagli anni '50 agli anni '70, quando poi siamo emigrati in Viale Monza, era praticamente un'area completamente verde, a ridosso del Naviglio Martesana con pochi edifici tra cui i nostri di Via Bettino da Trezzo 12 e 14. Proprio il verde e quindi i campi, gli orti e il naviglio hanno caratterizzato la nostra infanzia e la vita passata" in strada " ci ha forgiato il carattere , ci ha fatto imparare a difenderci e a non sopportare mai i soprusi, che vivendo a Milano non è difficile subire.
Davanti alla nostra casa c’era un grande prato ai cui lati il condominio aveva concesso un piccolo appezzamento di terreno dove tutti condomini e inquilini avevano costruito degli orti chiusi con porta e lucchetto, in cui coltivavano frutta e tutti gli ortaggi possibili e immaginabili, che spesso rubavamo; in fondo al prato sulla destra c’erano due corridoi in mezzo agli alberi che portavano al naviglio. Solo papà aveva destinato l’orto, il penultimo a sinistra, a nostro “fortino”, costruendoci un piccolo box in legno; per poterci entrare bisognava pronunciare la parola d’ordine che cambiavo ogni settimana.
Avevo una vera e propria banda. Io ero il Generale, Claudio e Vito Colonnelli e poi via via Gianni, Valerio, Flavio, Elio, Franco, Cleo, fino ai soldati semplici: in tutto una ventina di disperati. Nei primi anni c’era anche il piccolo Aldo, morto prematuramente a 6 anni per un'anestesia sbagliata per un piccolo intervento a una cornea; ricordo il nostro sgomento e il dolore dei familiari, in particolare di suo fratello Emilio che alla straziante notizia si mise a correre e vagò per tutta la giornata tra i campi, rientrando a casa solo a tarda sera.
Avevamo anche le tessere con indicati i gradi e i nostri incarichi e usavamo “l’alfabeto muto“ imparato in Colonia e ci scrivevamo bigliettini (i primi pizzini) con un codice segreto (che poi era semplicemente l’alfabeto alla rovescia).
Quando non c’era scuola, vivevamo sempre nei prati, dalla mattina alla sera, talvolta non rientravamo nemmeno per il pranzo chiedendo alla mamma dalla finestra il panino con pomodoro schiacciato, con olio aceto e sale oppure con burro e zucchero o alla Nutella e con noi immancabile c’era la Susy la nostra cagnetta, una bastardina, anche lei come tutto il gruppo, che faceva vita a sé, rientrando in casa all'ora di cena, segnando tutta la porta con le unghie per farsi aprire. Le finestre di casa nostra erano praticamente le nostre porte,entravamo e uscivamo da lì scavalcando al piano terreno e la mamma faceva la barista per tutti i ragazzi che ogni tanto andavano da lei per chiedere un bicchiere d’acqua, magari effervescente fatta con le bustine della Frizzina.
Ogni tanto nel pomeriggio arrivava davanti alle finestre lo zio Angelo al termine del turno di lavoro, con il suo taxi verdenero una 600 multipla,per rinfrescarsi o per dare una lavata all'auto a cui teneva gelosamente, anche se ogni tanto ci portava con lui al lavoro, nel sedile accanto al suo,con la perdita di un probabile cliente per il posto occupato,dandoci alla fine della giornata una piccola mancia.
Veniva anche lo zio Enzo sulla sua 600 con le portiere controvento, con Meme e Pirilla che litigavano per restare da noi. In bici invece arrivavano i nostri cugini più grandi Michelino figlio della zia Ida che lavorava in negozio con papà , Tinuccio figlio della zia Angela, che lavorava in una vicina drogheria e in Vespa Bobo e Antonietta che erano fidanzati.
Antonietta veniva spesso a casa nostra a fare il bagno visto che a casa sua non c'era la vasca. Una volta quando era in bagno da più di un ora, la mamma iniziò a preoccuparsi e bussò più volte alla porta e visto che non dava segni di vita ruppe con un braccio il vetro ed entrò.
Mia cugina era esanime a terra, svenuta probabilmente per le esalazioni di gas uscite dallo scaldabagno, per fortuna con le ultime forze ebbe la prontezza di uscire dalla vasca cadendo sul pavimento; arrivò l'ambulanza che la portò all'ospedale, ma fortunatamente tutto si risolse solo con un grande spavento.
Poi c’erano le discese nelle cantine; ci piaceva respirare quell’aria ricca di muffa e di polvere, quelle del “39” erano poi un vero e proprio dedalo, lì ci inventavamo qualsiasi tipo di gioco,ma erano in particolare il nostro rifugio per nasconderci o per occultare fionde,cerbottane e altre cose scottanti o proibite.
Nel prato disputavamo partite di calcio a oltranza, soprattutto nel pomeriggio con i pali delle porte rimediati da grandi sassi,da borse o da legni conficcati nel terreno. Prima di noi c’erano i ragazzi più grandi Sergio,Renato,Giorgio e Pierino che avevano una squadra “l’Atomica“ con maglie da calcio vere comprate in Via Zuretti con i colori verde oro del Brasile; con loro giocava Claudio che aveva un anno più di me e più grande entrai anch’io in quella che poteva definirsi la nostra Nazionale. Io e Claudio giocavamo sia con loro che con il nostro gruppo. Spesso il pallone “Elite“ finiva negli orti adiacenti, noi scavalcavamo la porta ed entravamo per recuperarlo senza dimenticarci il solito bottino di guerra: qualche albicocca, una carota o dei pomodori.
Ogni tanto colti in flagrante dal proprietario iniziava il fuggi fuggi generale , inseguiti in particolar modo dal nonno del Cleo che voleva sempre tagliarci il pallone con il falcetto.
Rimasti poi nel tempo solo noi a giocare ci siamo comprati le maglie. La prima dell’Argentina, a righe bianche e azzurre, poi blu, poi rosse con girocollo bianco con incollato lo stemma del “Club di Topolino” e a cui la mamma negli anni seguenti aveva cucito delle fettucce colorate per “rinnovarle“ e darci così una nuova divisa sociale.
Giocavamo partite contro le altre Vie confinanti, ma anche fuori casa a Prato Centenaro, in Via Breda, in Via Zuretti, al campo Insubria o alla Sagira e vincevamo quasi sempre. Eravamo fortissimi, ci allenavamo quasi 8 ore al giorno !!!.
Poi un più grandi per me e Vito, tramite zio Italo, c’è stato il periodo della Scarioni in Via Tucidide dove c'era un Nucleo Addestramento Giovani Calciatori; con noi giocava anche Fabrizio Bentivoglio, oggi attore affermato. Da lì per Vito e poi per Lele si sono aperte le carriere al Milan e all’Inter, mentre io venivo “bloccato” dalle solite crisi d’asma e terminavo la mia breve carriera agonistica nel Cologno Monzese allenato dallo zio Italo.
Ogni tanto quando si era in pochi, si giocava sulla strada prima in terra “strabattuta“ poi sull’asfalto con l’avvertimento “macchinaaaaa !!!“ quando arrivava un’auto, tra gli sguardi inorriditi e preoccupati dei proprietari delle poche auto parcheggiate e degli abitanti per i vetri delle finestre. Vetri che invece rompevamo in casa io e i miei fratelli, perché oltre ai prati e alla strada c’era il campo di “casa“, casa nostra.
Giocavamo con palloni artigianali visto che era bandito quello di plastica,fatti di carta di giornale, legati con il nastro adesivo o con vecchi asciugamani; le porte erano quelle della sala e dell’antibagno che erano proprio di fronte.
Al termine delle infinite partite in casa (con le urla della mamma) il campo sembrava Waterloo dopo la battaglia : soprammobili, vasi e vetri erano da macero, anche se noi tentavamo empiricamente di riattaccare i cocci con il Vinavil, preoccupati per la reazione di papà al ritorno a casa dopo il lavoro.
Quando c’era brutto tempo e dovevamo restare a casa, giocavamo interi campionati con le figurine di carta dei giocatori di calcio delle squadre di serie A, Rivera, Riva, Mazzola, vendute insieme al “Corrierino dei piccoli” con le porte create da me artista in erba, e con una pallina di carta arrotolata, oppure sempre con figurine dello stesso giornalino il giro d’Italia con i ciclisti Mercks, Gimondi Basso o della formula Uno, ricordo quella di Lorenzo Bandini un Milanese,perito tragicamente al GP di Montecarlo nel 1967.
Oppure completavamo l’Album dei calciatori delle figurine Panini, usando un pennellino e una colla bianca nel vasetto dal sapore di mandorle, che ogni tanto con una ditata mangiavamo.
C’era lo scambio delle figurine doppie con gli amici ,con l'introvabile Pizzaballa portiere dell' Atalanta o la gara a “muretto”, o con il palmo della mano che sollevava l’aria o giocandocele a “ bim bum bam “ (pari o dispari) con le mani o alla “ morra “ (sasso, carta, forbice).
Quando stavamo in casa la mamma ci preparava il budino S.Martino e facevamo a gara per la “leccata“ finale della pentola con il cioccolato solidificato.
Facevamo le battaglie con la mia medicina il” Sanasma”, che era una polvere che bruciava per combustione, la mettevamo in due piattini da caffè distinti e aspettavamo quale porzione si sarebbe consumata prima oppure aspettavamo accesa la prima, che la scintilla che sparava raggiungesse la seconda accendendola.
I piattini rotti per lo shock termico non sono mai stati quantificati.
In casa poi nascondevo nelle scatole degli spilli delle piccole lucertole o dei grilli per giocarci il giorno dopo, e ogni tanto alla mattina presto quando eravamo ancora a letto si sentivano le urla della mamma spaventata per l’imprevista e orrenda scoperta, trovata nel cassetto della macchina per cucire …. “Robertoooooo !!!!”.
Quando mi prendevano i soliti cinque minuti perché la mamma non voleva concedermi qualche cosa, gli tiravo i sassi alle finestre, con lei che velocemente abbassava tutte le tapparelle e si barricava in casa in attesa di papà, che al rientro a casa ci inseguiva per suonarcele intorno al tavolo della sala e quando da noi c’erano Meme e Pirilla ( Giacomo e Antonia ) gli diceva che ce ne era anche per loro.
Sembrava un corteo non autorizzato a rischio cinghiate….
Intorno a quel tavolo della sala mi ricorda mio cugino Michelino la mamma quando ero ancora in fasce girava con i pattini a rotelle,tenendomi in braccio per cullarmi e farmi addormentare, perchè oltre all'asma, manifestatasi più tardi, ero nato con la crosta-lattea,un allergia che mi sfigurava il volto.
Anche mio cugino ogni tanto era di corveè e mi faceva da baby-sitter.
Oltre al calcio c’era soprattutto l’attività della banda, vere e proprie battaglie con i nemici delle vie confinanti con risse e prigionieri che venivano portati nel fortino e torturati con frustate o con le sanguisughe che prendevamo nel naviglio.
Io ero il vero terrore di tutti i ragazzi di Via Bettino da Trezzo, ma soprattutto delle Vie confinanti, al momento dei litigi sferravo immediatamente all’avversario un cazzotto in faccia e la disputa finiva lì .
Nei momenti di tranquillità per non annoiarmi, mandavo i miei in giro, in particolare il mio amico Gianni figlio della portinaia Eliana e di Erminio, a provocare altri ragazzi che ovviamente reagivano; allora Gianni gli diceva che se avevano coraggio dovevano prendersela con il Capo cioè con me ; quasi sempre desistevano replicandogli che io non c’entravo niente, ma ogni tanto qualcuno gli rispondeva che non c’erano problemi e che non aveva paura di me.
Gianni tornava quindi al fortino a riferirmi della sfida e io li cercavo per Greco e li “sistemavo”; era un po’ come nella jungla il leone doveva ruggire e far sapere che nella zona comandava lui e che era il capo incontrastato.
Ma mi piaceva difendere, come peraltro faccio ancora oggi i più piccoli e i più deboli, se venivo informato che qualcuno piccolo le aveva “prese” da un gradasso senza saperne la ragione lo “vendicavo” immediatamente e soprattutto quando toccavano qualcuno della banda io e Claudio il mio vice facevamo delle vere e proprie spedizioni punitive.
Ogni tanto capitavano sconosciuti che si introducevano nel territorio, soprattutto nei periodi in cui c’era il “ Luna Park”, venivo subito avvisato dai miei e andavo alla loro ricerca, per delimitare i nostri confini; una volta incontrai uno ben piazzato che alle mie minacce rispondeva che lui era cintura nera di karate e che era meglio per me se lo lasciavo in pace. Non fece nemmeno in tempo a mettersi in guardia che si è ritrovò steso in terra sanguinante tra il tripudio e le congratulazioni dei miei supporters contenti del loro capo : ero proprio un vero teppista da strada.
Capitava anche che il malmenato riferisse ai genitori l’accaduto, allora c’era la processione a casa mia di padri che volevano spiegazioni e scuse dal mio.
Quasi sempre la questione si dirimeva subito, giustificando il fatto che in fondo fossimo solo ragazzi, ma in un paio si occasioni la discussione con papà è degenerata anche perché spesso gli dicevano che lo compativano per il suo handicap; a questo punto papà partiva con il solito cazzotto in faccia con la protesi della sua mano di legno che stendeva a terra il malcapitato e così tutta la famiglia era ”accontentata”.
Fortunatamente all’epoca non c’era ancora l’abitudine della Denuncia alle Autorità o del ricorso agli Avvocati, altrimenti credo che ci saremmo spesi una fortuna in risarcimenti.
La domenica sera c'era l'immancabile pizza venduta a tranci da Spontini,noi ne prendevamo due teglie intere ,che divoravamo insieme al Sig. Nino,la Sig.ra Elisa e le figlie Antonietta e Donatella.
A Carnevale c’erano le battaglie con le clave di plastica contro le altre vie, di solito erano momenti scherzosi, anche se noi le imbottivamo con carta di giornale bagnata o di spilli sulla punta, come per i bussolotti delle cerbottane, ma ogni tanto il celio degenerava e le dispute finivano come al solito : cazzotti per tutti.
A Natale oltre al solito cenone meridionale con tutti i parenti c'era il presepe di zio Michele,una vera opera d'arte ,era fatto di cartapesta,con le colonne di cartone,le botteghe degli artigiani, la ghiaia nelle stradine e la capanna con la mangiatoia con vera paglia,occupava tutto il mobile della sala, quasi 2 metri e alla fine veniva regalato all'Oratorio e rifatto da capo con nuova fantasia l'anno successivo.
Nel periodo prima di Capodanno compravamo da una nonnina di Cassina de Pomm i petardi fatti a mano clandestinamente da lei e andavamo in giro per Greco ad esploderli, la nostra specialità era quella di suonare ai campanelli mentre avevamo accesa la miccia cosicchè quando aprivano la porta il petardo deflagrava tra i piedi, ma noi eravamo già a Km di distanza, solo una volta abbiamo fatto un danno serio al portinaio del 14 che non ha aperto la porta e il petardo prima di esplodere ha lasciato un solco nero come il segno di Zorro,rovinandola seriamente.
La notte di Capodanno era il vero culmine della nostra performance di terroristi ,con botti da far saltare i timpani che lanciavamo stando in casa visto che era sconsigliabile uscire in strada perchè all'epoca c'era l'usanza di lanciare dalla finestra tutte le cose vecchie bicchieri,piatti, ferri vecchi, ombrelli rotti, ma qualcuno come Fantozzi lanciava anche elettrodomestici, poi negli anni con l'aumento delle auto parcheggiate questa tradizione è stata abbandonata.
Un'altra attività della banda era la cattura di animali in particolare le lucertole, quasi sempre a mani nude. A volte in una mattinata ne riempivo una bottiglia piena che poi buttavamo nel naviglio; le prendevo anche con il lazzo d’erba, trappola finissima e ingegnosa, per poi torturarle facendo una croce con i legnetti del gelato Mottarello, con le quattro zampe inchiodate con gli spilli e gettate nel naviglio, con successiva corsa in bicicletta fino al Mulino di Cassina de’ Pomm in Via Melchiorre Gioia per vedere l’arrivo della croce e il passaggio nelle grate di contenimento e quindi la fine della povera lucertola, oppure finivano carbonizzate con le fialette della benzina che compravamo dal tabaccaio o ustionate con i fiammiferi svedesi “controvento” che non si spegnevano mai. In altri casi non era la cattura ma lo sterminio totale con le fionde che fabbricavamo con rametti d’albero a “Y“, elastici con le camere d’aria delle bici e il cuoio per trattenere il sasso da lanciare.
Ma nel prato e nel naviglio vi era ogni specie di fauna : orbettini, ramarri che prendevamo con verme e canne da pesca, sanguisughe, salamandre, girini, rane, bisce d’acqua, grandi maggiolini, ragni, grilli che mettevamo nelle gabbiette fatte con i tappi di sughero e spilli come sbarre, cavallette e gechi, Le nostre preferite erano le libellule e, di sera, le lucciole.
Una volta con Claudio e Valerio, scavando nella terra delle “montagnette”, un ammasso di terra nel prato vicino, abbiamo trovato un nido di lucertole, una cosa impressionante; c’erano oltre un centinaio di uova, che abbiamo fatto schiudere prima del tempo, con pochissime sopravvivenze. Siamo stati antesignani della vivisezione, e oggi me ne vergogno perché sono diventato, almeno sulla terra, un animalista convinto.
Una volta alla mamma nostra musa ispiratrice venne l'idea di fare uno scherzo proprio alla mamma di Claudio veramente eccezionale meglio degli “ Scherzi a parte” televisivi.
La nostra vicina, la mamma del povero Aldo era proprietaria dell’appartamento del palazzo di fronte al nostro al 39 di Viale delle rimembranze in cui abitava Claudio il mio luogotenente e famiglia,la casa era veramente bella e spaziosa con un grande giardino in cui spesso giocavamo e in cui perdevamo tutte le tartarughe terrestri nel periodo invernale, i suoi genitori dicevano che quando andavano in letargo si interravano ( ma credo che fosse una balla e ce le facevano sparire…).
Dato il periodo di carestia, la mamma di Claudio aveva delle difficoltà per pagare l’affitto e lo faceva regolarmente in ritardo , ma aveva fatto la domanda in Comune per ottenere le case Popolari, ad affitto convenzionato, senza alcuna risposta nonostante gli innumerevoli solleciti fatti. Allora alla mamma venne la geniale idea di mandarle un telegramma che le comunicava l’assegnazione della casa popolare in una bella zona di Milano.Allora la mamma di Claudio si mise alla finestra sventolando il telegramma mentre con il braccio faceva il classico gesto dell’ombrello, pronunciando epiteti irripetibili alla padrona di casa nostra vicina.
Dopo qualche giorno visto che non arrivava la convocazione per vedere l’alloggio la mamma dovette rivelarle lo scherzo, la mamma di Claudio subito fu presa da
sconforto, ma poi terminò con una sonora risata e con lo zabaione che sapeva preparare magistralmente.
Un altro nostro regno era il Naviglio Martesana che raggiungevamo dal fondo del prato; l’acqua a quei tempi era limpidissima e non inquinata e talvolta in estate usando i copertoni delle auto a mo' di salvagente legati saldamente agli alberi, facevamo il bagno.
La Martesana in quegli anni scorreva fino in Brera al “Tumbun de San Marc “ e percorreva tutta Via Melchiorre Gioia, c’era un piccolo Mulino a Cassina de’ Pomm, dove adesso purtroppo il naviglio termina in superficie per poi interrarsi.
Nel nostro prato in fondo,proprio vicino ai due ingressi al naviglio,ogni tanto veniva il materassaio,un artigiano che svuotava i materassi dalla lana,la ripassava in un telaio per pulirla e renderla più "viva" e poi la reinseriva restituendo al materasso un nuovo aspetto,poi lo ridava al cliente.
A dire la verità a noi dava un pò fastidio,perchè occupava una parte di prato e quindi il nostro campo di calcio era più corto,ma eravamo troppo incuriositi ad osservare la sua maestria nel lavoro.
Poi c'erano altri artigiani che passavano ciclicamente dalla nostra strada: l'ombrellaio che riparava ombrelli e borse, il falegname che riparava e rendeva nuove le sedie con la paglia ,piccole poltrone o mobiletti e l'arrotino detto "el molitta " perchè aveva una piccola mola che funzionava con i pedali della sua bicicletta con cui affilava coltelli,forbici e piccoli attrezzi.
Proprio la bicicletta era un'altra nostra grande passione, le nostre facevano il tipico rumore dei motorini, perché con una molletta di legno legavamo alla forcella un cartoncino che nella corsa raschiava contro i raggi. Facevamo gare di corsa cronometrata a “voce “ intorno al palazzo, con varie cadute e croste terrificanti sui gomiti e sulle ginocchia, ma soprattutto c’era il tour ciclistico per Milano per visitare i parenti . Partivamo da Greco per andare a trovare la zia Pina e la zia Ida in Viale Monza, la zia Lia nel suo laboratorio di vetreria e la nonna Maria a Gorla e percorso più lungo (ci sembrava di fare una tappa del Giro d’Italia) a Cernusco sul Naviglio dalla zia Giulia, per terminare in Via Rho dalla zia Tilde.
Le zie ci davano la mancia 50 o 100 lire, con cui facevamo la colletta per comprare le scatole di soldatini di plastica coni quali poi facevamo epiche battaglie lanciando dei piccoli sassi per farli cadere. C’era sempre l’immancabile soldatino che non stava mai in piedi e a cui con il fuoco rimodellavamo il piedistallo.
Ogni tanto si andava alla Maggiolina, una zona di gente benestante con un'infinità di villette; era un vero e proprio labirinto e spesso ci divertivamo correndo a lasciare indietro qualcuno che regolarmente si perdeva nei meandri delle vie.
Alla Maggiolina c’era anche la villa di Celentano e spesso andavamo alla sua scuderia, che si trovava in fondo alla Sagira, dopo la ferrovia quasi a Prato Centenaro a guardare lui e quelli del Clan che cavalcavano. Le prime volte siamo stati allontanati in malo modo da uno stalliere, ma poi Adriano ci ha concesso di sederci sulla palizzata senza fare casino. Una volta era suo ospite Gianni Morandi. Se avessimo avuto macchine fotografiche avremmo fatto uno “Scoop“; i giornali dicevano infatti che erano troppo rivali e che si detestavano. Quando Claudia sua moglie era in attesa della prima figlia, Adriano ci chiese il favore (lì non c’erano telefoni) di correre in bici in Viale Sarca a chiamare il medico, orgogliosi dell’incarico siamo arrivati dal dottore in un nanosecondo. Da quella volta Adriano quando ci vedeva arrivare ci veniva a salutare (ma non fate casino eh…..!! ) e ci regalava foto autografate o la rivista musicale “Giovani“ che aveva sempre autoadesivi che incollavamo sulle biciclette.
Proprio con le biciclette Vito e Lele ebbero un incidente stradale abbastanza serio.
Stavano andando in Piazza Greco in due sulla bicicletta di Vito quando un auto li ha tamponati violentemente,Vito ha riportato solo contusioni ed escoriazioni,Lele invece si è rotto il bacino ed è rimasto per qualche giorno in ospedale.
A casa sono venuti i giornalisti de "La Notte"un quotidiano che usciva a Milano nel pomeriggio,hanno intervistato la mamma e hanno chiesto una foto dei due fratellini.
Io allora gliene ho data una dove eravamo tutti e tre insieme,speravo di finire sul giornale ed avere con i miei amici un pò di popolarità,invece la tagliarono e di me rimase solo un orecchio, che risulta immortalato nella cronaca Milanese del giornale.
D'estate passavo sempre una settimana dalla zia Angela sorella di papà in Via Tommei,mi divertivo molto anche se ero solo con mia cugina Rosanna perchè i suoi fratelli più grandi lavoravano, andavamo al cinema o in piscina,come del resto facevamo noi a Greco andando alla piscina Scarioni in zona Sarca, dove abbiamo fatto i primi tuffi dal trampolino da 5 mt e dove ci si immergeva in una vasca profonda con una parete di vetro facendo i "pesci nell'acquario" per gli altri amici che ci osservavano da fuori.
Almeno una volta all'anno andavamo con Michelino, Graziella , Nino , Elisa e le figlie in gita al Santuario della Madonna a Caravaggio vicino a Bergamo.
Il Prete dopo la Messa usciva sul Sagrato e con l'acqua Santa benediceva le autovetture che venivano parcheggiate in fila ordinata,per esorcizzarle e proteggerle da incidenti stradali.
Non credo che funzionasse veramente perchè appena ho preso la patente e quindi i miei mi hanno comprato la prima macchina una Fiat 128 rosso porpora e l'ho portata al Santuario facendola benedire , la stessa sera sono stato tamponato.
Poi c’erano le feste dei compleanni a casa mia con tutti gli amici con le torte preparate dalla mamma o dalla zia Giulia e le sfilate allegoriche di Carnevale all’oratorio. La mamma che faceva la sarta che ci preparava costumi sempre originali , con i quali vincevamo i premi.
Il più famoso resta quello con cui vincemmo una volta il 1° premio, la mamma aveva preparato per Lele un costumino da barboncino con una vecchia pelliccia con il pelo nero a ciuffi proprio come il cagnolino, quando camminava a quattro zampe tenuto con il guinzaglio della Susy era proprio difficile distinguerlo da un cane vero. Il vestito, come gli abiti delle prime Comunioni é stato tramandato ai posteri e negli anni successivi l'hanno indossato altri piccoli, cuginetti o figli di amici per terminare la carriera con i miei figli.
Ma al termine degli anni '60 in primavera è arrivata una notizia ferale: i prati erano stati venduti a una Società per costruirci due palazzi di 7 piani. Non volevamo crederci e soprattutto volevamo impedire la fine del nostro parco divertimenti.
Fino all’estate sono continuati i nostri “raid“ vandalici notturni per rallentare i lavori, rompevamo le chiavi delle scavatrici nel cruscotto, bucavamo le gomme, facevamo sparire attrezzi, badili, sacchi di sabbia e di cemento, incollavamo lucchetti e serrature dei containers degli operai e incendiavamo quello che si poteva.
Purtroppo al ritorno dalle ferie in nostra assenza i lavori erano ripresi alla velocità della luce e c’erano già le fondamenta; abbiamo fatto ancora qualche altro piccolo timido sabotaggio, ma alla fine ci siamo dovuti arrendere alla globalizzazione, anche perché eravamo in procinto di trasferirci in una nuova casa.
Per gran parte dei miei amici che avevo abbandonato a Greco iniziò negli anni successivi il periodo nefasto dell'eroina, la droga lasciò sul campo alla fine qualche decesso,molte storie di disperazione e malattie di cui alcuni portano ancora oggi i segni.
Là dove c'era l'erba ora c'è ......una città, come cantava il nostro amico Adriano e noi ormai eravamo in città in Viale Monza 87, ma questa è un altra storia.