mercoledì 31 agosto 2011

Il cappellino con la visiera

Correva l’anno 1959, da quando avevo un anno ero affetto da asma bronchiale, ricordo perfettamente il momento esatto in cui ebbi la prima crisi.
Ero a Viserbella in Romagna dove i miei genitori decisero di passare qualche giorno di vacanza in un albergo sul mare, ricordo con nitidezza la mia culla sotto la finestra,dalla quale filtrava un sole molto forte , la mia difficoltà a respirare e  un cameriere che in spiaggia serviva le bibite ai clienti seduti ai tavolini sotto gli ombrelloni.
Questa circostanza mi è stata confermata nei dettagli dai miei genitori, che alla prima occasione del racconto rimasero allibiti, anzi a mia mamma venne proprio la pelle d’oca. Un pò come a me, Vito e Lele quando trovandoci a casa sua  lei  indovinò  ( ma forse è riduttivo perché lei era una vera sensitiva) l'interlocutore, dopo uno squillo telefonico prima di alzare la cornetta e rispondere.
Era suo cugino Tonino che la chiamava da Napoli , che non sentiva  da oltre due anni.
Devo aver ereditato qualcosa dalla mamma, perché anche a me ogni tanto capitano questi episodi, ma il primo ricordo della mia memoria quando avevo solo un anno di vita, fece veramente scalpore.
Dicono che il primo ricordo che si memorizza, è sempre riferito ad un fatto traumatico e credo che nel mio caso sia andata proprio così.
Torniamo al 1959.
Papà e mamma decisero per la mia salute, anche consigliati dal medico che era meglio che almeno per un breve periodo fossi portato in una località climatica, preferibilmemte al mare in una colonia (questo "breve periodo’" durò poi 7 lunghi ,interi anni, 2 di asilo e 5 di scuola elementare).
Si optò per la Liguria ed esattamente a Bordighera dove in una piccola colonia c’era la figlia di un amica di mia mamma.
Vi dispenso dalla tragedia della comunicazione a me, del mio convincimento e del momento in cui i miei genitori mi lasciarono in colonia.
Partimmo in treno, viaggio che all’epoca durò quasi 5 ore ed arrivammo a Bordighera intorno a mezzogiorno.
La colonia era una villetta gestita da suore laiche che ospitava al massimo una trentina di bambini con grandi camere con letti matrimoniali in cui dormivano circa 6 bambini su ogni letto.
Al momento della partenza dei miei, le ex suore fecero notare che nel corredino  richiesto mancava un cappellino blù con la visiera, che avevano tutti i bambini della colonia per andare in spiaggia, quello con i lacci che si stringono sotto il mento, ma che potevano spedirlmelo, oppure me lo avrebbero comprato loro, addebitandocelo.Quando rimasi solo assistei a scene allucinanti, bambini sottoposti a iniezioni spero terapeutiche, sgridate ,sberloni sulle cosce e minacce per chi non voleva mangiare.
Intorno alle 18, i miei genitori che non erano partiti, ma si erano fermati a Bordighera, tornarono in colonia per consegnare il cappellino che avevano acquistato in città.
Il cancelletto era aperto e arrivarono alle finestre della colonia per vedere se fossi all’entrata perché volevano solo osservarmi , evitando però che li vedessi per non creare di nuovo una situazione imbarazzante e penosa di pianti urla e implorazioni.
Io invece ero proprio vicino alla finestra nell’esatto momento in cui una ex suora mi mollava un sonoro schiaffone sulla guancia,facendomi barcollare.
I miei videro in diretta la scena, papà entro come un caterpillar colpendo con un cazzotto in faccia la ex suora che cadde a terra con il naso sanguinante.
Chiese immediatamente di riconsegnare tutti i miei effetti personali e le minacciò di denunciare i fatti alle Autorità, che avrebbero fatto chiudere la colonia.
Gli riconsegnarono subito tutto e tornai a Milano con una libertà riconquistata (purtroppo per poco …).
L’amica di mia mamma fu avvertita su quello che era successo e il giorno dopo andò a riprendersi la figlia insieme ad altre quattro sue conoscenti, che fecero la stessa cosa con i loro figli.
Ma il problema delle mie crisi d'asma permaneva, e papà alla mattina prestissimo prima di andare nel suo negozio di fruttivendolo, mi portava sempre a fare una passeggiata in via Ferrante Aporti vicino alla Ferrovia a cavalcioni sulle sue spalle,per farmi respirare aria pià pura.La mamma mi faceva accompagnare dalla Sig.ra Nina S. da una guaritrice che mi spalmava sul petto un olio profumato al mentolo, facendo il segno della croce,davanti ad immagini Sacre e lumini accesi, ma erano solo rimedi estemporanei.
Dopo una quindicina di giorni quindi tornò di moda la possibilità di un mio ricovero in una Colonia al mare.
Papà si informò andando negli uffici del Comune di Milano in Via Benedetto Marcello dove gli proposero le “ Colonie Permanenti per le cure marine dell’infanzia“ in Via Oberdan 25 a PIETRALIGURE.
Portò a casa un depliant a colori della Colonia e riprese l'attività del mio convincimento, illustrandomi tutte le belle cose che vi avrei trovato, ricordo bene la foto di una giornata di sole dove su una panchina sotto una palma giocavano dei bambini felici.
Mi arresi, e come nel film SLIDING DOORS si aprì una porta diversa nella mia vita.
Senza il "cappellino con la visiera " non sarei mai andato a Pietraligure, quindi non avrei sposato Rita, e non  sarebbero nati  i miei figli Daniel e Gabriel, non avrei mai visto le loro numerose fidanzate e i loro genitori oggi miei amici.
Non avrei mai conosciuto i fratelli di Rita, perciò Lorenza non sarebbe mai venuta a Milano, non avrebbe incontrato Alessandro e non sarebbe mai nata la mia nipotina Alice.
Non avrei trovato il mio amico Enzo e quindi  probabilmente non avrei mai fatto il subacqueo, non avrei incontrato Livio e Massimo e quindi non sarei andato alla UIL, non avrei mai incrociato Andrea , amico di un cugino di Rita, oggi mio grande compagno d'immersioni e di calcio e non avrei vissuto tante altre bellissime storie che mi sono capitate nella vita.

martedì 30 agosto 2011

Numero di matricola 6605

6605....il mio numero di matricola,cucito dalla mamma su tutti gli indumenti con versamento di molte lacrime .
Entrai alle “ Colonie Permanenti per le cure Marine dell’infanzia “ a Pietraligure nel 1959 per trascorrerci 7 lunghissimi anni, 2 di asilo e 5 delle elementari, tornando a casa solo nei due mesi estivi e una settimana a Natale e poi ancora un paio di presenze estive richieste da me, nel 1966 e 1967, dato che evidentemente ero masochista.
Ci arrivai dopo l’infausta esperienza di Bordighera, durata fortunatamente mezza giornata e fui accompagnato da mio papà.
La sera precedente, come in altre identiche occasioni,quando non arrivavo in treno alla  stazione ferroviaria di Pietraligure con tutti gli altri" deportati", avevo dormito con lui,in albergo prima al S.Giorgio e poi al Geppi, insieme nel lettone matrimoniale,forse per abituarmi gradatamente al distacco che ci sarebbe stato da lì a poco.
Ero felice e speravo che il tempo trascorresse il più lentamente possibile.
Arrivato in colonia ricordo le scene veramente strazianti davanti al magazzino per la distribuzione delle divise: grembiulini azzurri o rosa  per l’asilo e una blusa marrone per le scuole elementari, quando  distaccandomi definitivamente da papà lo imploravo,  attaccandomi come una piovra alla sua gamba e gridandogli una frase che è ancora scolpita nella mia testa ”paparino, paparino bello, portami a casa non lasciarmi qui, farò sempre il bravo !! ”.
Consegnai al deposito la mia valigia di cartone, che conservo gelosamente ancora oggi  , dove all’interno su un foglio incollato al coperchio,con scritta di pugno della mamma erano annotate : 4 magliette della pelle, 4 mutandine, 4 calzini, 3 pantaloni, 3 magliette, 1 golfino 2 paia di scarpe e 1 cappellino con la visiera (per non sbagliare Colonia di nuovo).
Iniziò così la mia avventura, da solo per 5 anni poi negli ultimi due raggiunto da mio fratello Vito matricola 5721, e dai miei cugini Giacomo (Meme) e Antonia (Pirilla) per qualche mese, poi loro andarono in altri collegi.
I primi anni di asilo li ricordo poco, ero quasi sempre in infermeria, una specie di piccolo ospedale per circa una trentina di posti letto per quasi 1250 bambini ospiti della Colonia.
Lì ho fatto tutte le malattie infettive dei bambini, che ,visto il numero si trasmettevano con facilità impressionante e tutti venivano contagiati, quindi morbillo, varicella parotite, rosolia, scabbia, meningococco e chi più ne ha più ne metta.
Papà veniva a trovarmi ogni 15 giorni nei week-end, non potevo uscire dalla Colonia però passavo delle giornate bellissime, tranne alla domenica sera quando doveva tornare a Milano, quando iniziavano i pianti a dirotto a cui poi mi sono abituato e da “ometto” non piangevo più; ci salutavamo con la mano alzata da lontano, quando in uno scorcio della strada che lo portava alla Stazione si intravedeva ancora la Colonia.
Una volta fuori week-end vidi papà con uno zio fuori dal muro di cinta della Colonia vicino all’asilo, che mi osservava, da allora ho continuato a guardare verso l’esterno se la  si ripeteva la sorpresa.
Dei due anni di asilo non posso dimenticare Suor Severina, per cui nutrivo una vera passione e lei per me, visto che era anche lei era asmatica e, nei momenti di crisi (a me davano solo il Cortisone) mi faceva fare due spruzzate di Dispney Inal, un broncodilatatore, antesignano del Clenil e del Ventolin e respiravo immediatamente bene; solo a casa a Milano utilizzavo il Sanasma, un miscuglio di erbe ridotte in polvere che si consumavano accendendole, per combustione, piano piano mettendone un cucchiaino in un piattino da caffè.
Aveva l’effetto della broncodilatazione e lasciava l’aria della stanza medicata, i miei parenti ma soprattutto i miei fratelli, ricordano ancora l’odore (buonissimo di legna appena bruciata) che impregnava tutto quello che era in camera.
Dalla prima elementare sono cambiate molte cose, innanzitutto è cambiato il palazzo dove c’erano le camerate e sono passato in quelle che venivano definite “Squadre, ce ne erano parecchie ed ognuna era coordinata da una “signorina” oggi chiamata puericultrice, io ho avuto per diversi anni la Lucia poi quando è arrivato Vito c’era l’Annamaria.
Le camerate erano dei lunghissimi dormitori dove in ogni piano alloggiavano circa 200 bambini, però i letti a differenza dell’asilo e dell’infermeria avevano i materassi e i cuscini imbottiti di paglia.
Alla prima notte mi venne una crisi d’asma e fui ricoverato nuovamente in infermeria, poi tornato in squadra dopo altre notti insonni,tornai in infermeria e visto che non potevo continuare con questo ping-pong (anche perché ormai simulavo le crisi d’asma,anche quando non c’erano), alla fine decisero di lasciarmi fisso in infermeria.
Nei pochi giorni passati nelle camerate ho visto di tutto,dalle tele cerate per i bambini che facevano ancora la pipì nel sonno, che talvolta le passava allagando la paglia, che non veniva mai cambiata, alla rasatura totale dei capelli quando c’era la pediculosi (pidocchi) con un rimedio empirico ma efficace,visto che non esisteva ancora il MOM, dormivamo con un cappellino di lana, il mio della Juve e Vito dell’Inter (che ci faceva un amica della mamma), con all’interno le classiche palline di naftalina,quelle che si mettevano negli armadi contro le tarme.
Ogni settimana c’erano le docce collettive e ogni mese il parrucchiere; da noi veniva Mike che oggi si chiama Rocco e lavora ancora a Pietraligure, un giorno, visto che potevo restare con lui senza limiti di tempo visto che non ero in Squadra, in sua assenza provai ad affilare il rasoio con le fasce di cuoio, feci una mossa azzardata, il cuoio si tagliò e io abbandonai immediatamente il locale, non so se si accorse di nulla o fece finta.
Altro effetto traumatico erano il pranzo e la cena nel refettorio, c’erano tavolate lunghe quasi cento metri, sedevamo su lunghissime panche di legno e il primo piatto era sempre servito in una scodella di plastica.
Mangiavamo quasi sempre di secondo lo spezzatino, più grasso che carne, patate con macchie nere e alla sera c’era sempre la minestrina in brodo, stelline o anellini, se qualcuno avanzava qualche pietanza veniva messo alla “gogna“ dal Direttore, che costringeva il tapino a restare in piedi sulla panca, alla mercè di tutti gli altri finchè non aveva finito di mangiare.
Per coprire gli amici avevamo escogitato di mettere le scodelle impilate e in fondo alla penultima o alla terz’ultima quella dell’amico che aveva lasciato avanzi, così che il Direttore che ogni tanto controllava le pile, trovava sempre la prima e l’ultima vuote e non infliggeva la punizione.
Ancora oggi spezzatino e minestrina sono banditi dal mio menù.
In colonia era un po’ come in caserma, o forse come nei campi di concentramento, c’erano le divise, i numeri di matricola, la ginnastica obbligatoria, il rosario alle 17, i lavatoi lunghi 10 metri con i lavandini a cannella,i bagni con le porte tipo Far West  e i fogli di giornali vecchi tagliati al posto della carta igienica, l’alzabandiera alla mattina, e recentemente con mio cugino Giacomo e Vito ci siamo ricordati delle punizioni che infliggevano ai bambini cattivi, c’era la classica costrizione in piedi con le mani sulla testa per ore, il lavaggio dei bagni e delle toilettes, la pulizia di tutte le scarpe della camerata,ma quella più brutta, solo psicologica era quella di guardare la TV dei ragazzi (che ci facevano vedere solo un'ora al giorno) girati di schiena, ascoltando solo l’audio, senza video, quindi niente “Rin Tin Tin “o “Chissà chi lo sa”.
Sempre meglio però del Lager di Bordighera …
Nel salone dove vedevamo la televisione ogni tanto papà proiettava vecchi filmini in 8 mm di cartoni animati , di Stanlio ed Ollio o di Charlot e talvolta quelli familiari girati da lui che poi portava a casa a far vedere alla mamma che conservo ancora religiosamente,ho ancora tutto il reportage della mia vita vissuta in Colonia.
Ma io ormai avevo lasciato alle spalle questi supplizii, vivevo permanentemente nel Paradiso dell’Infermeria con l’adorabile Sig.na Giulia, la burbera Suor Giovanna e il medico Dr Giacomo Negro, diventato poi Sindaco di Pietraligure per molti anni.
Mangiavo benissimo, dormivo su materassi di gommapiuma, alle 17 ci davano il thè con i biscotti, ma soprattutto ero libero di girare nella Colonia, perché a parte le malattie, facevo la vita degli altri.
Alla mattina andavo a scuola,poi tornavo a mangiare in infermeria, poi riscendevo e ritornavo, ma soprattutto non avevo il vincolo degli altri :ginnastica, pennichella obbligatoria e rosario.
Conoscevo ogni angolo più recondito della Colonia,dalla dispensa, alla lavanderia, al deposito delle valigie, all’aia, alle cucine, alla falegnameria di Norberto il portinaio ,ed ero diventato amico fraterno di Claudio suo figlio, che, non essendo un bambino della Colonia poteva uscire liberamente e anche andare in città a Pietraligure per poi rientrare a casa sua, la portineria della colonia.
Ovviamente lo seguivo in queste “uscite” restando soprattutto nella campagna sopra la Colonia a mangiare more o carrube e a divertirci con animali insetti di qualsiasi genere, dalle api agli scorpioni, dalle cavallette alle lucertole che imparai a catturare con un lazzo d’erba (lo faccio ancora oggi).
C’era anche una piccola grotta che era diventato il nostro rifugio e il nascondiglio di ogni cosa,nel 1980 si seppe poi che Claudio in questi posti da adulto ,celebrava Messe Nere e che entrato in depressione si era suicidato, lanciandosi dalla Caprazoppa, una montagna tra Pietra e Finale Ligure.
Avevo disegnato una piantina perfetta della Colonia neppure Google Earth di oggi poteva competere con me, e informato i miei amici che c’era un tallone d’Achille nella recinzione della Colonia, così spesso io e Claudio abbiamo aiutato i vari fuggitivi, ripresi quasi sempre qualche ora più tardi.
Solo un bambino di Legnano una volta riuscì a salire sul treno alla Stazione di Pietraligure, ma andò dalla parte opposta a Milano e fu fermato dalla Polizia Ferroviaria e riportato in Colonia.
Claudio era più piccolo di me di un anno, ma già faceva il chierichetto durante le messe alla Domenica o alle Feste comandate e mi chiese se volessi affiancarlo che ne avrebbe parlato con la Madre Superiora.
Detto fatto !! entrai di diritto nella carriera Ecclesiastica.
Era un privilegio raro, perché mi distinguevo dal resto dei commilitoni, alla Domenica eravamo solo io e Claudio ad assistere il parroco nella celebrazione della Messa, ma a Pasqua, al Corpus Domini, S Pietro e Paolo eravamo 4 o 8 chierichetti, noi davanti e gli altri dietro, e, all’arrivo di mio fratello lo inserii subito nel gruppo.
Nell’anno successivo, frequentavo la seconda elementare, la Madre Superiora mi chiese se da solo con il parroco potessi celebrare Messa tutte le mattine alle 7 per le sole Suore,una ventina circa.
Accettai con entusiasmo e oltre alla Domenica ero a Messa tutti i Sacrosanti giorni avevo imparato a memoria tutti i Salmi e le preghiere assolutamente in Latino ed ero diventato molto amico del parroco, Don Rosso di Ranzi, frazione di Pietra, che spesso mi faceva assaggiare il Rosolio che lui beveva insieme all’Ostia.
Ogni tanto capitava che quando o io o lui eravamo già stanchi o assonnati ci guardavamo negli occhi in attesa delle Suore come per dirci “…e sorbiamoci questa altra rottura di….”.
Vicino all'uscita c'era la portineria dove c'era un piccolo "shop" gestito da Suor Armanda,che vendeva cartoline illustrate della Colonia da spedire a casa,santini e rosari e negli ultimi anni nel locale vicino,quello delle docce e del parrucchiere un primo distributore di Coca Cola e Fanta.
Nei mesi di Maggio e Giugno nel pomeriggio ci portavano in spiaggia, vicino al cantiere di Pietraligure, percorrevamo per raggiungerla il greto di un fiume, quando era in secca o sulla stradina vicina quando era in piena.
Nel ritornare in colonia, passando vicino alla Stazione Ferroviaria contavamo i vagoni del treno con la sequenza : Pacco, Posta, Visita, Partenza; teoricamente doveva avverarsi una delle previsioni, anche se sapevamo che per la partenza bisognava aspettare un anno intero.
In spiaggia come in Colonia ci davano la merenda: un pezzo di cioccolato con il pane o una piccola vaschetta di mele cotogne, terrificante ma molto ambita.
Però le leccornie arrivavano ogni 15 giorni intervallate dalle visite di papà, con il “Pacco postale“ che arrivava da casa: biscotti, il latte condensato al cioccolato, la crostata di frutta della zia Giulia e soprattutto il pollo arrosto freddo, che spolpavamo fino alle ossa (e che mangio freddo ancora oggi ), poi le figurine Panini,pennarelli,matite e cosa più importante la lettera della mamma.
Una volta alla settimana ci facevano spedire delle lettere ai nostri genitori , imponendoci la frase " io sto bene e così spero di voi , il cibo è ottimo e abbondante e le signorine e le maestre sono brave "; noi ricevevamo oltre alla lettera nel pacco delle cartoline illustrate, ci piacevano molto quelle con animali con gli occhi in rilievo e le palline delle pupille che roteavano.
Ogni tanto venivano a trovarci in colonia con papà lo zio Gianni,lo zio Italo, il Sig.Nino e famiglia e quando c'erano Meme e Pirilla veniva zio Enzo,insieme ad un  nostro cugino, Claudio,che abitava a Genova ricordo che una volta portò con lui un pappagallo.
Ma i giorni più belli in Colonia erano quelli in cui insieme al papà veniva a trovarci la mamma con il piccolo Lele e, quando, come nell’occasione delle Comunioni o delle Cresime,in particolare quella di Vito, venivano parenti e amici e potevamo andare liberi per Pietraligure a mangiare al Ristorante, o sulla passeggita, non più da reclusi.
In Colonia alla fine delle elementari con il diploma conquistato anche grazie alla pazienza della mia maestra Lidia ero ormai più “anziano” di tante Suore e Insegnanti che invece si alternavano nel turn-over.
Mi frequento ancora con Lidia oggi pluriottantenne, (come con Annamaria) che mi racconta che quando a scuola mi venivano i cinque minuti scappavo dall’aula sbattendo la porta e giravo libero come al solito per la Colonia.
Lei mi aveva capito e mi lasciava fare perché diceva che in fondo in fondo avevo un buon carattere. (….?? )
In colonia cominciavamo a tirare i primi calci ad un pallone,con le solite "porte" con sassi più grandi e con il campo di ghiaia,su cui lasciavamo sempre pezzi di ginocchia.
Avevamo due squadre più o meno fisse,la mia che si chiamava " la squadra di stoppa" da un telefilm dell'epoca e quella di Vito "Esmeralda" che piaceva di più ad Annamaria.
Nonostante i sette anni passati, forse per coinvolgere nel "clima Colonia" anche Lele (matricola 126) siamo tornati su nostra richiesta ,per un mese estivo per 2 anni di seguito, forse perchè sapevamo che gli altri 11 mesi li avremmo trascorsi a casa, ma anche per divertirci senza la scuola.
Ero cambiato, ed erano cambiate anche alcune Suore, in particolare c'era una nuova   Madre Superiora a cui un giorno diedi un cazzotto in faccia perché per una marachella mi diede una sberla sulla coscia.
Ero già diventato probabilmente il rissoso, irascibile, permaloso Roby di oggi.






I ragazzi della Via Pal

Come nel romanzo dell’Ungherese Ferenc Molnar, ma sarebbe più logico per vicinanze geografiche come “I ragazzi della Via Gluck” resa celebre in Italia per la canzone di Celentano, anche noi “I ragazzi della Via Bettino da Trezzo” , un pò come i ninos de rua brasiliani,abbiamo vissuto più di una decina d’anni di vere scorribande di vita vissuta “on the road “ da veri zingari, con lotte intestine contro i ragazzi delle altre Vie vicine, Via Rho, Viale delle Rimembranze di Greco, Via De Marchi.
Via Bettino da Trezzo si trova a Milano, nel quartiere di Greco, noto forse più per l’omonimo cimitero dove oggi riposa mia mamma.
I miei vi avevano acquistato nel 1954 un bilocale con cucina abitabile, e lì siamo nati io, Vito e Lele, per la precisione degli eventi rispettivamente io alla S.Camillo, Vito al Niguarda e Lele alla Macedonio Melloni. Greco dagli anni '50 agli anni '70, quando poi siamo emigrati in Viale Monza, era praticamente un'area completamente verde, a ridosso del Naviglio Martesana con pochi edifici tra cui i nostri di Via Bettino da Trezzo 12 e 14. Proprio il verde e quindi i campi, gli orti e il naviglio hanno caratterizzato la nostra infanzia e la vita passata" in strada " ci ha forgiato il carattere , ci ha fatto imparare a difenderci e a non sopportare mai i soprusi, che vivendo a Milano non è difficile subire.
Davanti alla nostra casa c’era un grande prato ai cui lati il condominio aveva concesso un piccolo appezzamento di terreno dove tutti condomini e inquilini avevano costruito degli orti chiusi con porta e lucchetto, in cui coltivavano frutta e tutti gli ortaggi possibili e immaginabili, che spesso rubavamo; in fondo al prato sulla destra c’erano due corridoi in mezzo agli alberi che portavano al naviglio. Solo papà aveva destinato l’orto, il penultimo a sinistra, a nostro “fortino”, costruendoci un piccolo box in legno; per poterci entrare bisognava pronunciare la parola d’ordine che cambiavo ogni settimana.
Avevo una vera e propria banda. Io ero il Generale, Claudio e Vito Colonnelli e poi via via Gianni, Valerio, Flavio, Elio, Franco, Cleo, fino ai soldati semplici: in tutto una ventina di disperati. Nei primi anni c’era anche il piccolo Aldo, morto prematuramente a 6 anni per un'anestesia sbagliata per un piccolo intervento a una cornea; ricordo il nostro sgomento e il dolore dei familiari, in particolare di suo fratello Emilio che alla straziante notizia si mise a correre e vagò per tutta la giornata tra i campi, rientrando a casa solo a  tarda sera.
Avevamo anche le tessere con indicati i gradi e i nostri incarichi e usavamo “l’alfabeto muto“ imparato in Colonia e ci scrivevamo bigliettini (i primi pizzini) con un codice segreto (che poi era semplicemente l’alfabeto alla rovescia).
Quando non c’era scuola, vivevamo sempre nei prati, dalla mattina alla sera, talvolta non rientravamo nemmeno per il pranzo chiedendo alla mamma dalla finestra il panino con pomodoro schiacciato, con olio aceto e sale oppure con burro e zucchero o alla Nutella e con noi immancabile c’era la Susy la nostra cagnetta, una bastardina, anche lei come tutto il gruppo, che faceva vita a sé, rientrando in casa all'ora di cena, segnando tutta la porta con le unghie per farsi aprire. Le finestre di casa nostra erano praticamente le nostre porte,entravamo e uscivamo da lì scavalcando al piano terreno e la mamma faceva la barista per tutti i ragazzi che ogni tanto andavano da lei per chiedere un bicchiere d’acqua, magari effervescente fatta con le bustine della Frizzina.
Ogni tanto nel pomeriggio arrivava davanti alle finestre lo zio Angelo al termine del turno di lavoro, con il suo taxi verdenero una 600 multipla,per rinfrescarsi o per dare una lavata all'auto a cui teneva gelosamente, anche se ogni tanto ci portava con lui al lavoro, nel sedile accanto al suo,con la perdita di un probabile cliente per il posto occupato,dandoci alla fine della giornata una piccola mancia.
Veniva anche lo zio Enzo sulla sua 600 con le portiere  controvento, con Meme e Pirilla che litigavano per restare da noi. In bici invece arrivavano i nostri cugini più grandi Michelino figlio della zia Ida che lavorava in negozio con papà , Tinuccio figlio della zia Angela, che lavorava in una vicina drogheria e in Vespa Bobo e Antonietta che erano fidanzati.
Antonietta veniva spesso a casa nostra a fare il bagno visto che a casa sua non c'era la vasca. Una volta quando era in bagno da più di un ora, la mamma iniziò a preoccuparsi e bussò più volte alla porta e visto che non dava segni di vita ruppe con un braccio il vetro ed entrò.
Mia cugina era esanime a terra, svenuta probabilmente per le esalazioni di gas  uscite dallo scaldabagno, per fortuna con le ultime forze ebbe la prontezza di uscire dalla vasca cadendo sul pavimento; arrivò l'ambulanza che la portò all'ospedale, ma fortunatamente tutto si risolse solo con un grande spavento.
Poi c’erano le discese nelle cantine; ci piaceva respirare quell’aria ricca di muffa e di polvere, quelle del “39” erano poi un vero e proprio dedalo, lì ci inventavamo qualsiasi tipo di gioco,ma  erano in particolare il nostro rifugio per nasconderci o per occultare fionde,cerbottane e altre cose scottanti o proibite.
Nel prato disputavamo partite di calcio a oltranza, soprattutto nel pomeriggio con i pali delle porte rimediati da grandi sassi,da borse o da legni conficcati nel terreno. Prima di noi c’erano i ragazzi più grandi Sergio,Renato,Giorgio e Pierino che avevano una squadra “l’Atomica“ con maglie da calcio vere comprate in Via Zuretti con i colori verde oro del Brasile; con loro giocava Claudio che aveva un anno più di me e più grande  entrai anch’io in quella che poteva definirsi la nostra Nazionale. Io e Claudio giocavamo sia con loro che con il nostro gruppo. Spesso il pallone “Elite“ finiva negli orti adiacenti, noi scavalcavamo la porta ed entravamo per recuperarlo senza dimenticarci il solito bottino di guerra: qualche albicocca, una carota o dei pomodori.
Ogni tanto colti in flagrante dal proprietario iniziava il fuggi fuggi generale , inseguiti in particolar modo dal nonno del Cleo che voleva sempre tagliarci il pallone con il falcetto.
Rimasti poi nel tempo solo noi a giocare ci siamo comprati le maglie. La prima dell’Argentina, a righe bianche e azzurre, poi blu, poi rosse con girocollo bianco con incollato  lo stemma del “Club di Topolino” e a cui la mamma negli anni seguenti aveva cucito delle fettucce colorate per “rinnovarle“ e darci così una nuova divisa sociale.
Giocavamo partite contro le altre Vie confinanti, ma anche fuori casa a Prato Centenaro, in Via Breda, in Via Zuretti, al campo Insubria o alla Sagira e vincevamo quasi sempre. Eravamo fortissimi, ci allenavamo quasi 8 ore al giorno !!!.
Poi un più grandi per me e Vito, tramite zio Italo, c’è stato il periodo della Scarioni in Via Tucidide dove c'era un Nucleo Addestramento Giovani Calciatori; con noi giocava anche Fabrizio Bentivoglio, oggi attore affermato. Da lì per Vito e poi per Lele si sono aperte le carriere al Milan e all’Inter, mentre io venivo “bloccato” dalle solite crisi d’asma e terminavo la mia breve carriera agonistica nel Cologno Monzese allenato dallo zio Italo.
Ogni tanto quando si era in pochi, si giocava sulla strada prima in terra “strabattuta“ poi sull’asfalto con l’avvertimento “macchinaaaaa !!!“ quando arrivava un’auto, tra gli sguardi inorriditi e preoccupati dei proprietari delle poche auto parcheggiate e degli abitanti per i vetri delle finestre. Vetri che invece rompevamo in casa io e i miei fratelli, perché oltre ai prati e alla strada c’era il campo di “casa“, casa nostra.
Giocavamo con palloni artigianali visto che era bandito quello di plastica,fatti di carta di giornale, legati con il nastro adesivo o con vecchi asciugamani; le porte erano quelle della sala e dell’antibagno che erano proprio di fronte.
Al termine delle infinite partite in casa (con le urla della mamma) il campo sembrava Waterloo dopo la battaglia : soprammobili, vasi e vetri erano da macero, anche se noi tentavamo empiricamente di riattaccare i cocci con il Vinavil, preoccupati per la reazione di papà al ritorno a casa dopo il lavoro.
Quando c’era brutto tempo e dovevamo restare a casa, giocavamo interi campionati con le figurine di carta dei giocatori di calcio delle squadre di serie A, Rivera, Riva, Mazzola, vendute insieme al “Corrierino dei piccoli” con le porte create da me artista in erba, e con una pallina di carta arrotolata, oppure sempre con figurine dello stesso giornalino il giro d’Italia con i ciclisti Mercks, Gimondi Basso o della formula Uno, ricordo quella di Lorenzo Bandini un Milanese,perito tragicamente al GP di Montecarlo nel 1967.
Oppure completavamo l’Album dei calciatori delle figurine Panini, usando un pennellino e una colla bianca nel vasetto dal sapore di mandorle, che ogni tanto con una ditata mangiavamo.
C’era lo scambio delle figurine doppie con gli amici ,con l'introvabile Pizzaballa portiere dell' Atalanta o la gara a “muretto”, o con il palmo della mano che sollevava l’aria o giocandocele a “ bim bum bam “ (pari o dispari) con le mani o alla “ morra “ (sasso, carta, forbice).
Quando stavamo in casa la mamma ci preparava il budino S.Martino e facevamo a gara per la “leccata“ finale della pentola con il cioccolato solidificato.
Facevamo le battaglie con la mia medicina il” Sanasma”, che era una polvere che bruciava per combustione, la mettevamo in due piattini da caffè distinti e aspettavamo quale porzione si sarebbe consumata prima oppure aspettavamo accesa la prima, che la scintilla che sparava raggiungesse la seconda accendendola.
I piattini rotti per lo shock termico non sono mai stati quantificati.
In casa poi nascondevo nelle scatole degli spilli delle piccole lucertole o dei grilli per giocarci il giorno dopo, e ogni tanto alla mattina presto quando eravamo ancora a letto si sentivano le urla della mamma spaventata per l’imprevista e orrenda scoperta, trovata nel cassetto della macchina per cucire …. “Robertoooooo !!!!”.
Quando mi prendevano i soliti cinque minuti perché la mamma non voleva concedermi qualche cosa, gli tiravo i sassi alle finestre, con lei che velocemente abbassava tutte le tapparelle e si barricava in casa in attesa di papà, che al rientro a casa ci inseguiva per suonarcele  intorno al tavolo della sala e quando da noi c’erano Meme e Pirilla ( Giacomo e Antonia ) gli diceva che ce ne era anche per loro.
Sembrava un corteo non autorizzato a rischio cinghiate….
Intorno a quel tavolo della sala mi ricorda mio cugino Michelino la mamma quando ero ancora in fasce girava con i pattini a rotelle,tenendomi in braccio per cullarmi e farmi addormentare, perchè oltre all'asma, manifestatasi più tardi, ero nato con la crosta-lattea,un allergia che mi sfigurava il volto.
Anche mio cugino ogni tanto era di corveè e mi faceva da baby-sitter.
Oltre al calcio c’era soprattutto l’attività della banda, vere e proprie battaglie con i nemici delle vie confinanti con risse e prigionieri che venivano portati nel fortino e torturati con frustate o con le sanguisughe che prendevamo nel naviglio.
Io ero il vero terrore di tutti i ragazzi di Via Bettino da Trezzo, ma soprattutto delle Vie confinanti, al momento dei litigi sferravo immediatamente all’avversario un cazzotto in faccia e la disputa finiva lì .
Nei momenti di tranquillità per non annoiarmi, mandavo i miei in giro, in particolare il mio amico Gianni figlio della portinaia Eliana e di Erminio, a provocare altri ragazzi che ovviamente reagivano; allora Gianni gli diceva che se avevano coraggio dovevano prendersela con il Capo cioè con me ; quasi sempre desistevano replicandogli che io non c’entravo niente, ma ogni tanto qualcuno gli rispondeva che non c’erano problemi e che non aveva paura di me.
Gianni tornava quindi al fortino a riferirmi della sfida e io li cercavo per Greco e li “sistemavo”; era un po’ come nella jungla il leone doveva ruggire e far sapere che nella zona comandava lui e che era il capo incontrastato.
Ma mi piaceva difendere, come peraltro faccio ancora oggi i più piccoli e i più deboli, se venivo informato che qualcuno piccolo le aveva “prese” da un gradasso senza saperne la ragione lo “vendicavo” immediatamente e soprattutto quando  toccavano qualcuno della banda io e Claudio il mio vice facevamo  delle vere e proprie spedizioni punitive.
Ogni tanto capitavano sconosciuti che si introducevano nel territorio, soprattutto nei periodi in cui c’era il “ Luna Park”, venivo subito avvisato dai miei e andavo alla loro ricerca, per delimitare i nostri confini; una volta incontrai uno ben piazzato che alle mie minacce rispondeva che lui era cintura nera di karate e che era meglio per me se lo lasciavo in pace. Non fece nemmeno in tempo a mettersi in guardia che si è ritrovò steso in terra sanguinante tra il tripudio e le congratulazioni dei miei supporters contenti del loro capo : ero proprio un vero teppista da strada.
Capitava anche che il malmenato riferisse ai genitori l’accaduto, allora c’era la processione a casa mia di padri che volevano spiegazioni e scuse dal mio.
Quasi sempre la questione si dirimeva subito, giustificando il fatto che in fondo fossimo solo ragazzi, ma in un paio si occasioni la discussione con papà è degenerata anche perché spesso gli dicevano che lo compativano per il suo handicap; a questo punto papà partiva con il solito cazzotto in faccia con la protesi della sua mano di legno che stendeva a terra il malcapitato e così tutta la famiglia era ”accontentata”.
Fortunatamente all’epoca non c’era ancora l’abitudine della Denuncia alle Autorità o del ricorso agli Avvocati, altrimenti credo che ci saremmo spesi una fortuna  in risarcimenti.
La domenica sera c'era l'immancabile pizza venduta a tranci da Spontini,noi ne prendevamo due teglie intere ,che divoravamo insieme al Sig. Nino,la Sig.ra Elisa e le figlie Antonietta e Donatella.
A Carnevale c’erano le battaglie con le clave di plastica contro le altre vie, di solito erano momenti scherzosi, anche se noi le imbottivamo con carta di giornale bagnata o di spilli sulla punta, come per i bussolotti delle cerbottane, ma ogni tanto il celio degenerava e le dispute finivano come al solito : cazzotti per tutti.
A Natale oltre al solito cenone meridionale con tutti i parenti c'era il presepe di zio Michele,una vera opera d'arte ,era fatto di cartapesta,con le colonne di cartone,le botteghe degli artigiani, la ghiaia nelle stradine e la capanna con la mangiatoia con vera paglia,occupava tutto il mobile della sala, quasi 2 metri e alla fine veniva regalato all'Oratorio e rifatto da capo con nuova fantasia l'anno successivo.
Nel periodo prima di Capodanno compravamo da una nonnina di Cassina de Pomm i petardi fatti a mano clandestinamente da lei e andavamo in giro per Greco ad esploderli, la nostra specialità era quella di suonare ai campanelli mentre avevamo accesa la miccia cosicchè quando aprivano la porta il petardo deflagrava tra i piedi, ma noi eravamo già a Km di distanza, solo una volta abbiamo fatto un danno serio al portinaio del 14 che non ha aperto la porta e il petardo prima di esplodere ha lasciato  un solco  nero come il segno di Zorro,rovinandola seriamente.
La notte di Capodanno era il vero culmine della nostra performance  di  terroristi  ,con botti da far saltare i timpani che lanciavamo stando in  casa visto che era sconsigliabile uscire in strada perchè all'epoca c'era l'usanza di lanciare dalla finestra tutte le cose vecchie bicchieri,piatti, ferri vecchi, ombrelli rotti, ma qualcuno come Fantozzi lanciava anche elettrodomestici, poi negli anni con l'aumento delle auto parcheggiate questa tradizione è stata abbandonata.
Un'altra attività della banda era la cattura di animali in particolare le lucertole, quasi sempre a mani nude. A volte in una mattinata ne riempivo una bottiglia piena che poi buttavamo nel naviglio; le prendevo anche con il lazzo d’erba, trappola finissima e ingegnosa, per poi torturarle facendo una croce con i legnetti del gelato Mottarello, con le quattro zampe inchiodate con gli spilli e gettate nel naviglio, con successiva corsa in bicicletta fino al Mulino di Cassina de’ Pomm in Via Melchiorre Gioia per vedere l’arrivo della croce e il passaggio nelle grate di contenimento e quindi la fine della povera lucertola, oppure finivano carbonizzate con le fialette della benzina che compravamo dal tabaccaio o ustionate con i fiammiferi svedesi “controvento” che non si spegnevano mai. In altri casi non era la cattura ma lo sterminio totale con le fionde che fabbricavamo con rametti d’albero a “Y“, elastici con le camere d’aria delle bici e il cuoio per trattenere il sasso da lanciare.
Ma nel prato e nel naviglio vi era ogni specie di fauna : orbettini, ramarri che prendevamo con verme e canne da pesca, sanguisughe, salamandre, girini, rane, bisce d’acqua, grandi maggiolini, ragni, grilli che mettevamo nelle gabbiette fatte con i tappi di sughero e spilli come sbarre, cavallette e gechi, Le nostre preferite erano le libellule e, di sera, le lucciole.
Una volta con Claudio e Valerio, scavando nella terra delle “montagnette”, un ammasso di terra nel prato vicino, abbiamo trovato un nido di lucertole, una cosa impressionante; c’erano oltre un centinaio di uova, che abbiamo fatto schiudere prima del tempo, con pochissime sopravvivenze. Siamo stati antesignani della vivisezione, e oggi me ne vergogno perché sono diventato, almeno sulla terra, un animalista convinto.
Una volta alla  mamma nostra musa ispiratrice venne l'idea di fare uno scherzo proprio alla mamma di Claudio veramente eccezionale meglio degli “ Scherzi a parte” televisivi.
La nostra vicina, la mamma del povero  Aldo era proprietaria dell’appartamento del palazzo di fronte al nostro al 39 di Viale delle rimembranze in cui abitava Claudio il mio luogotenente e famiglia,la casa era veramente bella e spaziosa con un grande giardino in cui spesso giocavamo e in cui perdevamo tutte le tartarughe terrestri nel periodo invernale, i suoi genitori dicevano che quando andavano in letargo si interravano ( ma credo che fosse una balla e ce le facevano sparire…).
Dato il periodo di carestia,  la mamma di Claudio aveva delle difficoltà per pagare l’affitto e lo faceva regolarmente in ritardo , ma aveva fatto la domanda in Comune per ottenere le case Popolari, ad affitto convenzionato, senza alcuna risposta nonostante gli innumerevoli solleciti fatti. Allora alla mamma venne la geniale idea di mandarle un telegramma che le comunicava l’assegnazione della casa popolare in una bella zona di Milano.Allora la mamma di Claudio si mise alla finestra sventolando il telegramma mentre con il braccio faceva il classico gesto dell’ombrello, pronunciando epiteti irripetibili alla padrona di casa nostra vicina.
Dopo qualche giorno visto che non arrivava la convocazione per vedere l’alloggio la mamma dovette rivelarle lo scherzo, la mamma di Claudio subito fu presa da
sconforto, ma poi terminò con una sonora risata e con lo zabaione che sapeva preparare magistralmente.
Un altro nostro regno era il Naviglio Martesana che raggiungevamo dal fondo del prato; l’acqua a quei tempi era limpidissima e non inquinata e talvolta in estate usando i copertoni delle auto a mo' di salvagente legati saldamente agli alberi, facevamo il bagno.
La Martesana in quegli anni scorreva fino in Brera al “Tumbun de San Marc “ e percorreva tutta Via Melchiorre Gioia, c’era un piccolo Mulino a Cassina de’ Pomm, dove adesso purtroppo il naviglio termina in superficie per poi interrarsi.
Nel nostro prato in fondo,proprio vicino ai due ingressi al naviglio,ogni tanto veniva il materassaio,un artigiano che svuotava i materassi dalla lana,la ripassava in un telaio per pulirla e renderla più "viva" e poi la reinseriva restituendo al materasso un nuovo aspetto,poi lo ridava al cliente.
A dire la verità a noi dava un pò fastidio,perchè occupava una parte di prato e quindi il nostro campo di calcio era più corto,ma eravamo troppo incuriositi ad osservare la sua maestria nel lavoro.
Poi c'erano altri artigiani che passavano ciclicamente dalla nostra strada: l'ombrellaio che riparava ombrelli e borse, il falegname che riparava e rendeva nuove le sedie con la paglia ,piccole poltrone o mobiletti e l'arrotino detto "el molitta " perchè aveva una piccola mola che funzionava con i pedali della sua bicicletta con cui affilava coltelli,forbici e piccoli attrezzi.
Proprio la bicicletta era un'altra nostra grande passione, le nostre  facevano il tipico rumore dei motorini, perché con una molletta di legno legavamo alla forcella un cartoncino che nella corsa raschiava contro i raggi. Facevamo gare di corsa cronometrata a “voce “ intorno al palazzo, con varie cadute e croste terrificanti sui gomiti e sulle ginocchia, ma soprattutto c’era il tour ciclistico per Milano per visitare i parenti . Partivamo da Greco per andare a trovare la zia Pina e la zia Ida in Viale Monza, la zia Lia nel suo laboratorio di vetreria e la nonna Maria a Gorla e percorso più lungo (ci sembrava di fare una tappa del Giro d’Italia) a Cernusco sul Naviglio dalla zia Giulia, per terminare in Via Rho dalla zia Tilde.
Le zie ci davano la mancia 50 o 100 lire, con cui facevamo la colletta per comprare le scatole di soldatini di plastica coni quali poi facevamo epiche battaglie lanciando dei piccoli sassi per farli cadere. C’era sempre l’immancabile soldatino che non stava mai in piedi e a cui con il fuoco rimodellavamo il piedistallo.
Ogni tanto si andava alla Maggiolina, una zona di gente benestante con un'infinità di villette; era un vero e proprio labirinto e spesso ci divertivamo correndo a lasciare indietro qualcuno che regolarmente si perdeva nei meandri delle vie.
Alla Maggiolina c’era anche la villa di Celentano e spesso andavamo alla sua scuderia, che si trovava in fondo alla Sagira, dopo la ferrovia quasi a Prato Centenaro a guardare lui e quelli del Clan che cavalcavano. Le prime volte siamo stati allontanati in malo modo da uno stalliere, ma poi Adriano ci ha concesso di sederci sulla palizzata senza fare casino. Una volta era suo ospite Gianni Morandi. Se avessimo avuto macchine fotografiche avremmo fatto uno “Scoop“; i giornali dicevano infatti che erano troppo rivali e che si detestavano. Quando Claudia sua moglie era in attesa della prima figlia, Adriano ci chiese il favore (lì non c’erano telefoni) di correre in bici in Viale Sarca a chiamare il medico, orgogliosi dell’incarico siamo arrivati dal dottore in un nanosecondo. Da quella volta Adriano quando ci vedeva arrivare ci veniva a salutare (ma non fate casino eh…..!! ) e ci regalava foto autografate o la rivista musicale “Giovani“ che aveva sempre autoadesivi che incollavamo sulle biciclette.
Proprio con le biciclette Vito e Lele ebbero un incidente stradale abbastanza serio.
Stavano andando in Piazza Greco in due sulla bicicletta di Vito quando un auto li ha tamponati violentemente,Vito ha riportato solo contusioni ed escoriazioni,Lele invece si è rotto il bacino ed è rimasto per qualche giorno in ospedale.
A casa sono venuti i giornalisti de "La Notte"un quotidiano che usciva a Milano nel pomeriggio,hanno intervistato la mamma e hanno chiesto una foto dei due fratellini.
Io allora gliene ho data una dove eravamo tutti e tre insieme,speravo di finire sul giornale ed avere con i miei amici un pò di popolarità,invece la tagliarono e di me rimase solo un orecchio, che risulta immortalato nella cronaca Milanese del giornale.
D'estate passavo sempre una settimana dalla zia Angela sorella di papà in Via Tommei,mi divertivo molto anche se ero solo con mia cugina Rosanna perchè i suoi fratelli più grandi lavoravano, andavamo al cinema o in piscina,come del resto facevamo noi a Greco andando alla piscina Scarioni in zona Sarca, dove  abbiamo fatto i primi tuffi dal trampolino da 5 mt e dove ci si immergeva in una vasca profonda con una parete di vetro facendo i "pesci nell'acquario" per gli altri amici che ci osservavano da fuori.
Almeno una volta all'anno  andavamo  con Michelino, Graziella , Nino , Elisa e le figlie in gita al Santuario della Madonna a Caravaggio vicino a Bergamo. 
Il Prete dopo la Messa usciva sul Sagrato e con l'acqua Santa benediceva le autovetture che venivano parcheggiate in fila ordinata,per esorcizzarle e proteggerle da incidenti stradali.
Non credo che funzionasse veramente perchè appena ho preso la patente e quindi i miei mi hanno comprato la prima macchina una Fiat 128 rosso porpora e l'ho portata al Santuario facendola  benedire , la stessa sera sono stato tamponato. 
Poi c’erano le feste dei compleanni a casa mia con tutti gli amici con le torte preparate dalla mamma o dalla zia Giulia e le sfilate allegoriche di Carnevale all’oratorio. La mamma che faceva la sarta che ci preparava costumi sempre originali , con i quali vincevamo i premi.
Il più famoso resta quello con cui vincemmo una volta il 1° premio, la mamma aveva preparato per Lele un costumino da barboncino con una vecchia pelliccia con il pelo nero a ciuffi proprio come il cagnolino, quando camminava a quattro zampe tenuto con il guinzaglio della Susy era proprio difficile distinguerlo da un cane vero. Il vestito, come gli abiti delle prime Comunioni é stato tramandato ai posteri e negli anni successivi l'hanno indossato altri piccoli, cuginetti o figli di amici per terminare la carriera con i miei figli.
Ma al termine degli anni '60 in primavera è arrivata una notizia ferale: i prati erano stati venduti a una Società per costruirci due palazzi di 7 piani. Non volevamo crederci e soprattutto volevamo impedire la fine del nostro parco divertimenti.
Fino all’estate sono continuati i nostri “raid“ vandalici notturni per rallentare i lavori, rompevamo le chiavi delle scavatrici nel cruscotto, bucavamo le gomme, facevamo sparire attrezzi, badili, sacchi di sabbia e di cemento, incollavamo lucchetti e serrature dei containers degli operai e incendiavamo quello che si poteva.
Purtroppo al ritorno dalle ferie in nostra assenza i lavori erano ripresi alla velocità della luce e c’erano già le fondamenta; abbiamo fatto ancora qualche altro piccolo timido sabotaggio, ma alla fine ci siamo dovuti arrendere alla globalizzazione, anche perché eravamo in procinto di trasferirci in una nuova casa.
Per gran parte dei miei amici che avevo abbandonato a Greco iniziò negli anni successivi il periodo nefasto dell'eroina, la droga lasciò sul campo alla fine qualche decesso,molte storie di disperazione e malattie di cui alcuni portano ancora oggi i segni.
Là dove c'era l'erba ora c'è ......una città, come cantava il nostro amico Adriano  e noi ormai eravamo in città in Viale Monza 87, ma questa è un altra storia.

lunedì 29 agosto 2011

Alle terme !!!

Quasi ogni anno, in particolare io, ma anche con Vito facevamo da accompagnatori a papà (quando non andava da solo con nonno Giacomo o zio Italo)  per il periodo termale concesso dal Governo agli Invalidi Civili di Guerra soggiornando per 15 giorni a Trescore Balneario, vicino a Bergamo o a  Salsomaggiore Terme .
Ci arrivavamo normalmente in pullman, ma anche in treno e per noi era veramente un periodo di grande felicità e di distacco dalla routine.
Alle terme papà si sottoponeva a massaggi terapeutici ma in particolare ai fanghi,che gli venivano applicati a mo' di impacchi su tutto il corpo, che lenivano il dolore alla schiena ed erano propedeutici per l’eventuale recrudescenza della patologia nei periodi invernali.
Anch’io approfittavo delle terme per fare inalazioni ai bronchi per curare la mia asma, in particolare a Tabiano Terme vicino a Salsomaggiore.
Quando ero con mio fratello erano schermaglie continue, eravamo due pesti, non stavamo quieti un attimo, tirandoci anche  bastoni o sassi, mentre il nonno Giacomo sbirciando sotto gli occhiali, leggendo il giornale, faceva finta di controllarci, come registrato da un filmino in 8 mm, che custodiamo gelosamente.
Alle terme papà ci faceva bere l’acqua dal sapore di zolfo, che sgorgava dalla sorgente e che doveva avere proprietà taumaturgiche e il nonno di nascosto la birra scura di cui era goloso.
Ricordo a Trescore le gite nei campi tra le aie dei contadini con tutti gli animali che difficilmente avremmo visto in città, e a Salso le prime granite di caffè con panna montata, i manicaretti della pensione Romagnosi  e alla sera le passeggiate con papà sul viale principale,dove nei primi piano-bar si esibivano i cantanti melodici degli anni 60, Fred Buongusto e Bruno Martino.
Erano periodi di grande felicità e spensieratezza, le consideravo proprio vacanze, perché ero in albergo con papà e Vito ma soprattutto perché erano le uniche indimenticabili passate con nonno Giacomo.

Leandro e Cesiomaggiore ...

Estate 1965, la prima dopo i sette anni di Colonia.
A papà venne la brillante idea di scegliere per le vacanze estive una località montana.
A nulla valsero le nostre richieste di andare al mare a Pietraligure, dove finalmente avremmo soggiornato da ” uomini liberi “ non più da reclusi.
Un amico del portinaio di Via Rho, tale Leandro, che conosceva il Sig. Nino, ci aveva riservato una stanza a Cesiomaggiore vicino a Feltre in provincia di Belluno.
Partimmo io, Vito, Lele, mamma, papà, la Susy (la nostra cagnetta) e zio Italo su due auto, la
500 beige targata MI E73220 dello zio, e la famosa Giulietta “T” Sport del Sig. Nino insieme alla moglie Elisa, visto che le figlie Antonietta e Donatella erano in vacanza con i nonni.
In auto con lo zio il mangiadischi girava a ripetizione; ricordo le canzoni “Sono simpatico” di Celentano e “Tu sei quello“ che vinse “Il disco per l’Estate “, di una cantante emergente, Orietta Berti, con musiche di Alberto Anelli, che più tardi negli anni sarebbe diventato uno dei miei più grandi amici.
Alberto ha scritto molte canzoni, la più famosa è “ L’importante è finire “ di Mina, ma noi siamo affezionati a “Il caffè della Peppina” che vinse uno “Zecchino d’oro “.
Arrivammo a Feltre e passando per Cesiominore, raggiungemmo Cesiomaggiore e cercammo subito Leandro, che nel paese di poche anime era il contadino, l’operaio, il becchino, il sacrestano, il messo comunale, l’idraulico, il fabbro, insomma il vero esempio di come si può ottimizzare l’utilizzo delle risorse Pubbliche.
Ricordo che appena appresa questa multifunzionalità di Leandro, dopo averlo conosciuto, con zio Italo scrivevamo con il pennarello nero il suo nome sui cartelli stradali di lavori in corso, che erano disseminati per tutto il paese.
Trovammo l’amico del portinaio “Leandro”, lungo una strada, mentre con un badile stava scavando una buca, non abbiamo osato chiedere a cosa servisse …
Leandro era il classico villico, parlava un idioma incomprensibile, ma a gesti ci indicò la casa che ci avrebbe ospitato per un mese intero.
La casa era una catapecchia, in un rudere ristrutturato malamente, ma soprattutto aveva il bagno con il water “alla turca” con delle assi di legno che contenevano il buco della cloaca.
I miei cercavano di convincersi e di convincerci che poi tutto sommato non era così drammatica la situazione, eravamo in una amena località, con aria purissima, grandi spazi verdi e cibo genuino.
A me invece presero i miei famosi “5 minuti”, piantai un casino di urla e imprecazioni, volevo assolutamente tornare a Milano e magari andare poi al mare e mi barricai in macchina chiudendo i blocchi di sicurezza, in attesa del viaggio di ritorno.
Visto il lungo viaggio, la distanza e lo sbattimento della trasferta del nostro “circo”, papà provò a chiedere ad alcuni abitanti se ci fossero appartamenti disponibili da prendere in affitto per un mese.
Mi convinsero a fare questa ricerca e scesi dall’auto.
Fortunatamente dopo qualche giro improduttivo ci capitò il classico colpo di fortuna.
C’era una casa su due piani con un ampio cortile e l’appartamento al piano terra si era liberato proprio quella mattina.
Venne immediatamente bloccato e dopo poco ci insediavamo nel nuovo confortevole rifugio.
Di quella vacanza ricordo, oltre all’odore del Sanasma, i giocatori di calcio fatti col Pongo, le battaglie con i soldatini di plastica in giardino, il grande lavoro della passata di pomodori per le conserve dell’inverno fatti da Elisa, Nino e la mamma, un torneo di calcio con zio Italo giocatore e noi suoi grandi fans spettatori a Cesiominore, ma soprattutto quando preso dai miei “raptus “ costringevo tutta la famiglia a barricarsi in casa, mentre io da fuori gli lanciavo contro tutti i sassi che riuscivo a raccogliere.
Questi episodi venivano sempre ricordati da zio Italo e la mamma, insieme alla figura del mitico “Leandro” e del bagno alla turca.
Dall’anno successivo Pietraligure forever !!!

AAA...Abilene

Nel 1970 e nel 1971 io, Vito, Lele e Giacomo decidemmo per 15 giorni di trascorrere una vacanza in un campeggio alle porte di Milano precisamente al Parco di Monza a Cascina Costa Alta.
Avevamo trovato un opuscolo del Centro Milanese Sport e Ricreazione sotto l’egida del Comune di Milano ed eravamo rimasti colpiti dalle attività che si sarebbero svolte nel periodo, sport, piscina, recitazione, visite guidate all’Autodromo.
Il primo ostacolo fu quello dell’ufficio Igiene e Sanità di Via Statuto a Milano, dovevamo essere sottoposti alla visita medica d’uopo per certificare la sana e robusta costituzione e l’assenza di patologie.
Vito, Lele e Giacomo superarono tranquillamente i test poi toccò a me.
Si accorsero che non avevo mai fatto alcuna vaccinazione a causa dell’asma quindi niente Antipoliomielite, niente Antidifterica, niente Antitetanica, insomma senza alcuna protezione.
Il medico di turno mi disse quindi che in queste condizioni non poteva darmi il nulla-osta e che perciò non potevo partire per il campeggio.
Questa cosa avrebbe annullato la vacanza per tutti, visto che se non andavo io non sarebbe partito nessuno.
Chiesi quindi al medico di turno se potessi parlare con un Responsabile, mi disse di salire al primo piano, feci passare un quarto d’ora e mi ripresentai da lui dicendo che il Responsabile aveva detto che non c’erano problemi di darmi pure il nulla osta, cosa che fece.
Ovviamente non avevo parlato con nessun Responsabile, ma forse ha considerato che a 15 anni non potessi essere così sfrontato dal raccontargli una balla e mi diede l’autorizzazione a partire tra gli occhi stralunati di Meme ( Giacomo ) che non voleva credere a quello che aveva visto.
L’anno dopo il problema si ripresentò, ma ricordai al Dottore che ero già partito l’anno precedente e ricordandosi mi diede il via libera.
Era settembre, partimmo in pulman da P.zza Castello e raggiungemmo il campeggio dopo un oretta.
Il campeggio si trovava su una piccola collinetta nel parco di Monza ed era formato da 9 tende militari ciascuna da 8 posti molto grandi, con armadietti spaziosi e letti comodi, noi ci sistemammo nell’ultima tenda in fondo, vicino all’alzabandiera che veniva eseguito alla mattina appena alzati al suono della tromba e alla sera prima di coricarci.
In campeggio abbiamo fatto tutti i tornei sportivi possibili : di basket, di tennis da tavolo, di corsa campestre, di nuoto, di tiro con l’arco vincendoli tutti o piazzandoci nei primi posti,ma quello in cui abbiamo stravinto per ovvie ragioni è stato il torneo di calcio.
Ogni partita terminava con una goleada subendo al massimo un gol, tanto che dopo la vittoria gli istruttori ISEF tutti quasi trentenni vollero sfidarci in una specie di supercoppa.
Ma non c’era trippa per gatti, battemmo con un po’ di fatica anche loro con il tifo e il tripudio di tutti i ragazzi delle altre tende.
In campeggio poi successe un po’ di tutto, si doveva dare un nome ad ogni tenda, creare un piccolo inno e uno slogan identificativo e un disegno come logo.
Noi decidemmo di chiamarci ABILENE che era una città del Far West perché sulla scatola di pennarelli che avevamo c’era un cow-boy, un vecchietto Cocco Bill, feci il logo, ci inventammo un motivetto e lo slogan,alla sera davanti al fuoco dell’alzabandiera ogni squadra doveva pronunciare il proprio nome: “A A A Abilene “ e cantare l’inno “Ad Abilene chi spara prima spara bene….” !! ( da una commedia musicale del quartetto Cetra ), poi c’erano gare di recitazione e venivano premiate le squadre migliori.
Un giorno ricordo che eravamo stati assolutamente i migliori ma alla premiazione finimmo quarti o quinti, allora incazzati comunicammo che dal giorno successivo avremmo chiamato la squadra con un altro nome, cambiando inno e slogan.
All’alzabandiera con dei cartelli comunicavamo che ci saremmo chiamati I SORDOMUTI, ovviamente non potevamo gridare il nome della squadra, nè cantare l’inno, emettendo soltanto il suono mmmmmmmm….ed esibendo il cartello con il nuovo slogan che era “ho fatto, ho fatto, ma non ho visto niente” copiato da una pubblicità.
Questa nostra protesta non venne gradita, da quel momento giocavamo alla non collaborazione, allora fummo chiamati in Direzione dal Direttore tale Tarca che voleva parlare con me.
Alle mie risposte maleducate e provocatorie mi diede una sberla sulla coscia, io risposi con il solito pugno in faccia, poi scappammo dal campeggio portandoci dietro i cuscini, volevamo dormire fuori, vennero avvertite le famiglie e infine venimmo cercati e trovati .
Dopo la telefonata con papà gli animi si stemperarono anche grazie al capo degli Istruttori Paolo e alla collega Renata che avevano compreso e perdonato quello che era successo,e ritornammo nei ranghi comunque temuti e rispettati.
Anche su loro c’è un aneddoto “hard”.
I bagni erano alla” turca” con le porte tipo “saloon”; a Giacomo venne un impellente bisogno, corse in bagno e aprì la prima porta che gli capitò: dentro c’era Renata accovacciata con la “Bernarda “ in bella vista !!!!, dato che a quell’età non era cosa da tutti i giorni Giacomo uscì ed informò la truppa che immediatamente come in processione andò in bagno a guardare il nude look di Renata
Appena uscita informò Paolo il capo istruttori che si incazzò con noi anche se stava sorridendo, forse invidiandoci.
Non sappiamo se l’intervento di Paolo fece scattare la freccia di Cupido, ma qualche anno più tardi li ritrovammo insieme sul lago di Como in un ristorante: erano diventati una coppia.
Abbiamo poi fatto una valanga di scherzi, il più riuscito è quando abbiamo smontato il letto del Meme e con lui sdraiato sotto le coperte l’abbiamo depositato proprio sotto l’alzabandiera.
Alla mattina alla sveglia gli Istruttori non volevano credere ai loro occhi, Giacomo finse di dormire e di svegliarsi non sapendo dove si trovasse, ma dopo poco l’ilarità prese il sopravvento sull’incazzatura e tra le risa di tutti i ragazzi e degli Istruttori riportammo il letto nella tenda.
Un'altra volta abbiamo riempito di dentifricio tutte le scarpe delle altre tende e chiuso nell’armadietto un ragazzo della nostra, obbligandolo a cantare come nel juke-box da nonnismo militare, abbandonandolo poi per qualche ora.
Altra esperienza particolare fu quella con la talpa.
In campeggio c’erano ogni mattina grandi buche da talpa e volevamo catturarne una ad ogni costo e alla fine ci riuscimmo.
Nella nostra poca conoscenza dei roditori volevamo portarla a Milano, allora riempimmo per conservarla una valigia di terra , chiudendola per la notte.
La mattina dopo la talpa non c’era più …si era scavata una buca perforando anche la valigia ed era tornata giustamente nei suoi terreni.
Ma forse i due aneddoti più incredibili sono legati all’Autodromo di Monza,il primo riguarda una visita guidata ai box era il 1971, Giacomo per non smentire la sua fama di smontatore appena fu nel box della BRM di Peter Gethin staccò dal motore, che a quei tempi era aperto ed esterno a vista, un paio di tubicini senza farsi notare da nessuno.
Solo al rientro in tenda ci mise al corrente della sua “performance”, fummo avvisati poi che la Direzione del Campeggio stava indagando su alcuni furti registrati nei box dell’Autodromo, dato che avevano ricevuto delle lamentele dalla Direzione Corse Di Monza.
Il bello è che Peter Gethin su BRM vinse il GP di Monza del 1971 come riportano le cronache.
La domanda che sorge spontanea è: ma vinse grazie a Meme ? e con o senza i tubicini ???
L’altro episodio riguarda una nostra fuga dal campeggio, campo in cui io ero un esperto,per raggiungere l’Autodromo di Monza da dove provenivano i rombi dei motori delle auto in prova.
C’era però da scavalcare un reticolato, il nostro amico dell’armadietto, molto magro chiamato da noi crapapelata tentò di passare per primo infilando la testa in uno squarcio.
Disse “ se passa la testa passa anche il corpo “ e rimase aggrovigliato nel filo spinato, dopo averlo districato con tutti i vestiti strappati riuscimmo ad entrare tutti e ci mettemmo dietro un guard-rail per osservare il passaggio delle auto.
Era una cosa impressionante !! le macchine ci passavano ad oltre 200 all’ora a pochi metri da noi.
Giacomo decise allora in una pausa di passaggio di attraversare dall’altra parte proprio all’interno della pista perché avrebbe visto meglio.
Lo lasciammo fare, e attraversò proprio qualche secondo prima che Clay Ragazzoni sulla Ferrari ci passasse davanti, però ci accorgemmo subito che a questo passaggio non ne seguivano altri, evidentemente aveva avvisato i box che c’era un pericolo sulla pista.
Da lì a poco arrivò la Polizia con i cani, facemmo appena in tempo a scavalcare per tornare in campeggio.
Crapapelata riuscì di nuovo a restare impigliato nel filo spinato ma ormai era a brandelli e con uno strattone si liberò.
Sono stati due anni bellissimi,anche perché forse sono state le ultime vacanze passate insieme ai miei fratelli naturali e a quello acquisito Meme.