Da quando ero piccolo e avevo imparato a nuotare, nonostante non sia mai stato un grande stilista, ho sempre avuto la passione per la pesca subacquea.
Il mondo sottomarino mi ha sempre affascinato e nelle estati Pietresi, di solito alla mattina presto dopo aver aiutato il bagnino a sistemare la spiaggia o verso il tramonto andavo a “caccia” agli inizi solo con la fiocina regalata da mio cugino Michelino,poi con il mio fucile a molla il Minisaetta della Cressi, con discreti risultati: polpi e seppie e qualche piccola sogliola erano le mie prede preferite.
Pesci che avendo parenti “terroni”, venivano poi mangiati cotti a casa o addirittura in qualche caso “vivi”.
Capitava infatti che quando avevo come barcaioli del moscone, mio cugino Michelino e mio zio Saverio, tornato a bordo trovavo che i polpi non avevano più il terminale dei tentacoli perché mentre ero sott’acqua i “cannibali marini ” se li erano divorati.
Con loro poi era un divertimento la raccolta delle cozze, anche quelle talvolta mangiate crude in barca, tanto avevano già avuto il tifo da piccoli, che prendevo negli scogli davanti al cantiere di Pietra o vicino al pontile.
Con i miei amici Mauro e Aldo, albergatori di Pietraligure, abbiamo fatto sempre grandi stragi di polpi e il nostro ritorno in spiaggia dopo la caccia era sempre salutato da tutti i bagnanti curiosi e soprattutto dai bambini.
Non era difficile poi che proprio i bambini più piccoli mi chiedessero di prendergli un piccolo polpo da tenere nel secchiello per giocarci e per vedere lo spruzzo d’inchiostro che utilizzano per difesa.
Una estate proprio per prendere un piccolo polpo forse di un etto restai per tutto il mese con la mano gonfia, perchè fui morso sul dorso della mano, sentii una piccola puntura e non ci diedi importanza,ma giunto a riva la mano iniziò a gonfiarsi,andai in farmacia dove mi dissero di metterci solo ammoniaca,ma che ero stato fortunato perchè il morso era a un centimetro da una vena,altrimenti avrei subito uno schok anafilattico e senza cortisone a disposizione avrei rischiato grosso.
Il colmo era che nella mattina in una pescata con la bombole avevo peso 3 piovre una delle quali di quasi 8 kg.
Questi incidenti capitavano perchè anche se avevo il fucile ho sempre preferito per la cattura dei polpi l’utilizzo delle mie mani che frequentemente erano tagliate e gonfie per lo sfregamento con le rocce delle tane, mi dicevano che parevo “San Sebastiano“, mi aiutavo solo con strumenti rudimentali come la bottiglietta di verderame per farli uscire dalle tane o di un gancio artigianale per catturarli più facilmente.
Una estate proprio per prendere un piccolo polpo forse di un etto restai per tutto il mese con la mano gonfia, perchè fui morso sul dorso della mano, sentii una piccola puntura e non ci diedi importanza,ma giunto a riva la mano iniziò a gonfiarsi,andai in farmacia dove mi dissero di metterci solo ammoniaca,ma che ero stato fortunato perchè il morso era a un centimetro da una vena,altrimenti avrei subito uno schok anafilattico e senza cortisone a disposizione avrei rischiato grosso.
Il colmo era che nella mattina in una pescata con la bombole avevo peso 3 piovre una delle quali di quasi 8 kg.
Questi incidenti capitavano perchè anche se avevo il fucile ho sempre preferito per la cattura dei polpi l’utilizzo delle mie mani che frequentemente erano tagliate e gonfie per lo sfregamento con le rocce delle tane, mi dicevano che parevo “San Sebastiano“, mi aiutavo solo con strumenti rudimentali come la bottiglietta di verderame per farli uscire dalle tane o di un gancio artigianale per catturarli più facilmente.
Nella primavera del 1972 mio cugino Giacomo era stato appena assunto in un negozio sportivo di Milano dove vendevano anche attrezzatura subacquea e a Pasqua eravamo a Pietra per passare qualche giorno di vacanza.
Passeggiando sul pontile di Pietra abbiamo notato che in acqua c’era un subacqueo con le bombole, noi che eravamo semplici apneisti eravamo incuriositi e affascinati a osservarlo.
Giunto poi a riva, ci siamo avvicinati per fargli qualche domanda sull’attrezzatura, sul suo utilizzo e sui costi per l’eventuale acquisto e, grazie a Giacomo che ormai per il suo lavoro era un esperto la conversazione si svolse quasi alla pari.
Il subacqueo si chiamava Enzo, era un bancario di Torino con casa a Pietra, dove faceva parte del gruppo subacqueo “The Shark” e si dichiarò immediatamente disponibile a farci fare una prova con le bombole.
Visto che non avevamo attrezzature e vista la stagione fredda , l’occasione si presentò solo a luglio; rimediammo per me la giacca della muta da un suo amico, un paio di pantaloni da un altro, il cappuccio da un altro ancora e le bombole da Piero il suo maestro (detto “il deca” per l’allora decennale d’immersioni), praticamente sembravo un Arlecchino marino.
Andammo a caricarle a Loano da Gervasio, un'icona vivente del mondo subacqueo che aveva un compressore recuperato da lui stesso da un sottomarino, il giorno dopo eravamo a Capo Noli per il battesimo subacqueo.
Capo Noli è un promontorio davanti a Noli, una cittadina fantastica del ponente Ligure che mantiene ancora i suoi caratteristici aspetti medioevali.
Capo Noli ha una particolarità unica: è proprio nel centro del piccolo golfo del “Leone“ (detto così perché il vento ha scolpito sulla strada una pietra che sembra un leone) dove c’è una fossa quasi oceanica che nel giro di qualche centinaia di metri dalla spiaggia scende fino a 400 mt !!
Partendo da riva come se si scendesse da una montagna si arriva al primo gradino che segna -37, poi c’è un pianale orizzontale e dopo un centinaio di metri riprende a scendere.
Per noi quindi una palestra eccezionale, perché c’è sempre il contatto con la sabbia e quindi ti senti sicuro e protetto.
Imparata la teoria nella serata precedente e istruito meticolosamente da Enzo sono sceso la prima volta fino a 17 metri, praticamente un palazzo di 6 piani, poi la seconda a 24 metri e nel giro di una settimana ero già arrivato al fatidico primo gradino a meno 37.
Tornato a Milano da Giacomo abbiamo acquistato le prime mute e parte di attrezzatura e praticamente ogni due settimane eravamo a Pietra da Enzo per le nostre immersioni a Capo Noli al sabato e alla domenica.
Da lì è iniziata la nostra avventura subacquea, Enzo nel frattempo era stato trasferito dalla banca a Milano e tutti i venerdì sera caricavamo stracolma la sua 500 Blu di bombole, attrezzature e le valigie con i nostri indumenti e si partiva alla volta di Pietraligure.
Non riesco ancora a capire come facevamo a stivare tutto nella macchina, mi sembrava essere a “Giochi senza Frontiere” e di giocare il jolly.
Giacomo invece quasi sempre ci raggiungeva da Milano in treno e dopo un viaggio di oltre 4 ore lo andavamo a prendere in Stazione a Pietra per terminare la serata con pizza da Pompeo.
A Pietraligure Enzo aveva un box auto, completamente riservato alla subacquea, lì si tenevano le attrezzature, le bombole, gli erogatori, i profondimetri, le cinture con i piombi e i fucili, visto che fino al 1980 si poteva fare la pesca con gli autorespiratori.
Il box era il nostro diving, il magazzino, l’officina (riparavamo tutto noi) e….la nostra casa, dove io e Giacomo mangiavamo e dormivamo su dei materassi in terra, dato che in quei periodi eravamo un po’ squattrinati, ricordo ancora la polvere che si respirava nella notte, alla mattina eravamo spesso con il naso intasato, quindi a rischio rinvio per l’immersione.
Il box era soprattutto il punto di ritrovo nel pomeriggio precedente l’immersione per programmarla e scambiarci idee, consigli e pareri e precedenti esperienze.
Erano periodi da pionieri, le bombole, caricate solo a 150 atm avevano la riserva, che facevi entrare tirando un’asticina di ferro quando l’aria stava finendo, a volte con grande difficoltà e rischio vita; iniziavano ad apparire sul mercato i primi decompressimetri per le tappe di decompressione, ma per un bel po’ di tempo i conti li facevamo con le tabelle della Marina Militare Francese e calcolavamo le tappe con gli orologi, non avevamo per l’inverno le sottomute, allora si usavano maglioni infeltriti e vecchi calzettoni di lana e i guanti da muratore di mio suocero.
Però c’era la libertà della caccia e devo dire che da lì sono iniziate le vere stragi: piovre fino a 13 kg, gronghi di 20 kg, rane pescatrici fino a 30 kg, saraghi, branzini, bonniti (piccoli tonni), murene, mustelle, pesci S Pietro, serpi marine che il mio amico Mauro albergatore metteva nella zuppa di pesce per i turisti Tedeschi, astici, insomma un po’ di tutto.
Capo Noli era sempre la nostra palestra, ma anche il nostro supermarket, sul fondo c’erano i tubi lunghi 5 mt, di una fognatura dismessa che erano le tane di gronghi immensi, poi i copertoni abbandonati e lanciati dalla strada dai camionisti che erano il rifugio delle piovre e sulla scogliera seppie a volontà.
Enzo esibiva sempre fucili nuovi all’avanguardia, ne ricordo uno in particolare il “Drago “ che aveva l’impugnatura scorrevole.
D’inverno le nostre immersioni a Capo Noli erano veramente da “braveheart“, scendevamo con qualsiasi tempo pioggia ma anche raramente neve e qualsiasi mare, le estremità al termine dell’immersione erano praticamente semicongelate ed Enzo portava una stufetta a benzina che tenevamo accesa anche in auto, non era difficile che per non prendere freddo ci cambiassimo a Pietra nel box, facendo il viaggio in auto da Noli con le mute fradice, assomigliando molto a Diabolik o Fantomas.
Prima dell’immersione Livio ci dava delle barrette iperenergetiche al ginepro e dopo l’immersione non poteva mancare il classico punch al mandarino al bar, che tracannavamo come acqua nonostante i 1000 gradi fahrenheit dell’alcoolica bevanda.
Poi da quando Enzo ha comprato un gommone, ma anche d’estate con qualche turista facoltoso con la barca sono iniziate le immersioni nel blu, alle isole Gallinara e Bergeggi, sulle secche del Finalese Marassi e Le Stelle, sulla Boa del Cantiere a Pietra sui “custi” e le prime affascinanti sui relitti del S Guglielmo a Loano, del Sassari a Borghetto, dell’ Umberto 1° alla Gallinara e quella più profonda sull’One Tiffled a meno 54 davanti a Pietra.
Ricordo la prima immersione a Bergeggi, quando abbiamo catturato un pesce Luna eravamo convinti di avere fatto una grande impresa, poi Piero ci spiegò che non era praticamente commestibile e che si mangiavano solo poche piccole parti; da quella volta non li abbiamo più presi, anzi in un occasione mi è parso quasi che avvenisse il contrario.
Mi trovavo sulla boa del cantiere a Pietra, con Chicco e Giuliano, l’acqua era limpidissima e data la poca profondità filtrava la luce del sole, a un certo punto mentre ero sdraiato per controllare una tana, ho visto un'ombra che mi appariva alle spalle, come se si fosse spenta la luce, subito mi sono preoccupato poi mi sono girato : era una famiglia di pesci Luna, il più grande (come una 500) mi è addirittura venuto quasi faccia a faccia, probabilmente incuriosito da quello “strano pesce“ che ero io, ci siamo guardati per un po’, poi ha dato un colpo di pinna e lentamente se ne è andato.
Un altro incontro straordinario è stato quello con 3 tonni enormi sul fondo a Capo Noli, dove vista la profondità passa di tutto.
I tonni mi giravano intorno con giri concentrici anche loro per osservare quello “strano pesce”, arrivati a pochi metri di distanza il mio DNA di cacciatore non ha resistito e, puntato il mio fucile con la fiocina ad altezza della testa, ho sparato.
Il tonno ha fatto un veloce scatto e il tiro è finito verso la coda, il colpo è letteralmente rimbalzato sul suo corpo, mi è girato ancora intorno un paio di volte guardandomi come se dicesse “guarda questo cretino, voleva fare sci nautico !!“
Per caricare le bombole si andava a Finale da Romagnoli e da Peluffo, a Ceriale da Giancarlo, ma soprattutto a Loano dal mitico Rovere Gervasio, vero pioniere delle immersioni e suo antesignano esploratore, conosceva Jacques Cousteau ed era amico di Marcante, Odaglia e Cressi con cui negli anni 60 inventò le prime torce subacquee partendo dalle parabole delle autovetture.
Gervasio ci raccontava delle sue prime immersioni, delle sue 7 embolie (scendeva a oltre 100 mt al largo della Gallinara) delle mute che non erano di neoprene ma di camere d’aria degli pneumatici,che gli lasciavano sul corpo per la pressione dell’acqua delle frustate che non gli consentivano di camminare per quasi una settimana,dei primi orologi allagati o esplosi in contenitori di vetro e del primo fucile a molla lungo quasi 3 mt,che veniva caricato solo una volta in barca e con il quale prendeva cernie maestose.
Dal 1974 poi è arrivata la Camilla, “my car” come diceva Baglioni, una Fiat 128 rossa, che era diventata la macchina per la subacquea.
Gervasio mi aveva regalato due grandi autoadesivi gialli della Technisub che avevo incollato sulle portiere al punto che ogni tanto al casello di Milano al momento del pagamento del pedaggio, l’addetto mi chiedeva se volevo lo scontrino perché pensava che fossimo Agenti o Rappresentanti.
Con l’andar del tempo e soprattutto a causa della salsedine la Camilla era marcita, nel bagagliaio dove si depositava il pesce e i piombi c’erano dei fori passanti di una spanna, salvati poi da zio Enzo con protezioni in vetroresina e con l’antirombo, dato su tutto il fondo della macchina da Peppino il nostro meccanico.
Nel frattempo ero entrato nel gruppo The Shark di Pietra, ho fatto bellissime immersioni con Piero, Angelo, Giovanni il benzinaio e Amedeo il falegname fino a S.Stefano mare vicino ad Imperia e nel 1980 dopo tutto l’inverno passato a studiare, a fare immersioni e a fare visite a S Corona abbiamo ottenuto dalla FIPS di Genova il brevetto di istruttori, purtroppo il Gruppo si è sciolto dopo poco tempo anche per lo sfratto dalla Sede Sociale e tutta la documentazione, foto e ricordi sono stati distrutti o persi.
Sono stati periodi bellissimi in cui ho anche conosciuto due amici di Milano: Livio, che abitava proprio davanti al box di Enzo e Massimo che era un suo collega di lavoro, quello della salsiccia con i fagioli di qualche anno più tardi, potendo quindi affermare che lo sliding-doors di Pietraligure ha determinato per effetto domino anche il mio attuale lavoro.
Siamo stati una vera squadra per diversi anni, poi piano piano sono rimasto solo alternando i miei compagni d’immersione : ogni tanto e ancora oggi Enzo, poi Chicco di Loano, mio nipote Claudio e negli ultimi anni Andrea (roccia) oltre naturalmente ai miei figli Daniel e Gabriel che ho scaraventato sott’acqua già dall’eta di 6 anni con il bombolino da 5 litri.
Piero buonanima ha fatto da maestro a Enzo, lui a me, e io complessivamente ho avuto circa un centinaio di allievi, l’ultimo mio nipote Nahele quest’estate, contenti di questo sport meraviglioso ma molto faticoso, perché per mezzora di divertimento (decompressioni a parte) fai un‘ora di facchino, un'ora da lavandaio, da operaio, da addetto alle pulizie, da sarto ecc. ecc.….
Dal 1979 poi è entrata nella mia vita subacquea la meravigliosa Isola d’Ischia, dove vado almeno per una settimana all’anno e dove dai pescatori del luogo sono soprannominato “o pescatore 'e cernie“, e nei cui meravigliosi e profondissimi fondali prendo cernie enormi e pesci che rispetto al Ligure sembrano “lievitati “ o dopati.
A oggi sono quasi 2000 immersioni che registro e annoto ancora dal lontano 1972.
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