martedì 30 agosto 2011

Numero di matricola 6605

6605....il mio numero di matricola,cucito dalla mamma su tutti gli indumenti con versamento di molte lacrime .
Entrai alle “ Colonie Permanenti per le cure Marine dell’infanzia “ a Pietraligure nel 1959 per trascorrerci 7 lunghissimi anni, 2 di asilo e 5 delle elementari, tornando a casa solo nei due mesi estivi e una settimana a Natale e poi ancora un paio di presenze estive richieste da me, nel 1966 e 1967, dato che evidentemente ero masochista.
Ci arrivai dopo l’infausta esperienza di Bordighera, durata fortunatamente mezza giornata e fui accompagnato da mio papà.
La sera precedente, come in altre identiche occasioni,quando non arrivavo in treno alla  stazione ferroviaria di Pietraligure con tutti gli altri" deportati", avevo dormito con lui,in albergo prima al S.Giorgio e poi al Geppi, insieme nel lettone matrimoniale,forse per abituarmi gradatamente al distacco che ci sarebbe stato da lì a poco.
Ero felice e speravo che il tempo trascorresse il più lentamente possibile.
Arrivato in colonia ricordo le scene veramente strazianti davanti al magazzino per la distribuzione delle divise: grembiulini azzurri o rosa  per l’asilo e una blusa marrone per le scuole elementari, quando  distaccandomi definitivamente da papà lo imploravo,  attaccandomi come una piovra alla sua gamba e gridandogli una frase che è ancora scolpita nella mia testa ”paparino, paparino bello, portami a casa non lasciarmi qui, farò sempre il bravo !! ”.
Consegnai al deposito la mia valigia di cartone, che conservo gelosamente ancora oggi  , dove all’interno su un foglio incollato al coperchio,con scritta di pugno della mamma erano annotate : 4 magliette della pelle, 4 mutandine, 4 calzini, 3 pantaloni, 3 magliette, 1 golfino 2 paia di scarpe e 1 cappellino con la visiera (per non sbagliare Colonia di nuovo).
Iniziò così la mia avventura, da solo per 5 anni poi negli ultimi due raggiunto da mio fratello Vito matricola 5721, e dai miei cugini Giacomo (Meme) e Antonia (Pirilla) per qualche mese, poi loro andarono in altri collegi.
I primi anni di asilo li ricordo poco, ero quasi sempre in infermeria, una specie di piccolo ospedale per circa una trentina di posti letto per quasi 1250 bambini ospiti della Colonia.
Lì ho fatto tutte le malattie infettive dei bambini, che ,visto il numero si trasmettevano con facilità impressionante e tutti venivano contagiati, quindi morbillo, varicella parotite, rosolia, scabbia, meningococco e chi più ne ha più ne metta.
Papà veniva a trovarmi ogni 15 giorni nei week-end, non potevo uscire dalla Colonia però passavo delle giornate bellissime, tranne alla domenica sera quando doveva tornare a Milano, quando iniziavano i pianti a dirotto a cui poi mi sono abituato e da “ometto” non piangevo più; ci salutavamo con la mano alzata da lontano, quando in uno scorcio della strada che lo portava alla Stazione si intravedeva ancora la Colonia.
Una volta fuori week-end vidi papà con uno zio fuori dal muro di cinta della Colonia vicino all’asilo, che mi osservava, da allora ho continuato a guardare verso l’esterno se la  si ripeteva la sorpresa.
Dei due anni di asilo non posso dimenticare Suor Severina, per cui nutrivo una vera passione e lei per me, visto che era anche lei era asmatica e, nei momenti di crisi (a me davano solo il Cortisone) mi faceva fare due spruzzate di Dispney Inal, un broncodilatatore, antesignano del Clenil e del Ventolin e respiravo immediatamente bene; solo a casa a Milano utilizzavo il Sanasma, un miscuglio di erbe ridotte in polvere che si consumavano accendendole, per combustione, piano piano mettendone un cucchiaino in un piattino da caffè.
Aveva l’effetto della broncodilatazione e lasciava l’aria della stanza medicata, i miei parenti ma soprattutto i miei fratelli, ricordano ancora l’odore (buonissimo di legna appena bruciata) che impregnava tutto quello che era in camera.
Dalla prima elementare sono cambiate molte cose, innanzitutto è cambiato il palazzo dove c’erano le camerate e sono passato in quelle che venivano definite “Squadre, ce ne erano parecchie ed ognuna era coordinata da una “signorina” oggi chiamata puericultrice, io ho avuto per diversi anni la Lucia poi quando è arrivato Vito c’era l’Annamaria.
Le camerate erano dei lunghissimi dormitori dove in ogni piano alloggiavano circa 200 bambini, però i letti a differenza dell’asilo e dell’infermeria avevano i materassi e i cuscini imbottiti di paglia.
Alla prima notte mi venne una crisi d’asma e fui ricoverato nuovamente in infermeria, poi tornato in squadra dopo altre notti insonni,tornai in infermeria e visto che non potevo continuare con questo ping-pong (anche perché ormai simulavo le crisi d’asma,anche quando non c’erano), alla fine decisero di lasciarmi fisso in infermeria.
Nei pochi giorni passati nelle camerate ho visto di tutto,dalle tele cerate per i bambini che facevano ancora la pipì nel sonno, che talvolta le passava allagando la paglia, che non veniva mai cambiata, alla rasatura totale dei capelli quando c’era la pediculosi (pidocchi) con un rimedio empirico ma efficace,visto che non esisteva ancora il MOM, dormivamo con un cappellino di lana, il mio della Juve e Vito dell’Inter (che ci faceva un amica della mamma), con all’interno le classiche palline di naftalina,quelle che si mettevano negli armadi contro le tarme.
Ogni settimana c’erano le docce collettive e ogni mese il parrucchiere; da noi veniva Mike che oggi si chiama Rocco e lavora ancora a Pietraligure, un giorno, visto che potevo restare con lui senza limiti di tempo visto che non ero in Squadra, in sua assenza provai ad affilare il rasoio con le fasce di cuoio, feci una mossa azzardata, il cuoio si tagliò e io abbandonai immediatamente il locale, non so se si accorse di nulla o fece finta.
Altro effetto traumatico erano il pranzo e la cena nel refettorio, c’erano tavolate lunghe quasi cento metri, sedevamo su lunghissime panche di legno e il primo piatto era sempre servito in una scodella di plastica.
Mangiavamo quasi sempre di secondo lo spezzatino, più grasso che carne, patate con macchie nere e alla sera c’era sempre la minestrina in brodo, stelline o anellini, se qualcuno avanzava qualche pietanza veniva messo alla “gogna“ dal Direttore, che costringeva il tapino a restare in piedi sulla panca, alla mercè di tutti gli altri finchè non aveva finito di mangiare.
Per coprire gli amici avevamo escogitato di mettere le scodelle impilate e in fondo alla penultima o alla terz’ultima quella dell’amico che aveva lasciato avanzi, così che il Direttore che ogni tanto controllava le pile, trovava sempre la prima e l’ultima vuote e non infliggeva la punizione.
Ancora oggi spezzatino e minestrina sono banditi dal mio menù.
In colonia era un po’ come in caserma, o forse come nei campi di concentramento, c’erano le divise, i numeri di matricola, la ginnastica obbligatoria, il rosario alle 17, i lavatoi lunghi 10 metri con i lavandini a cannella,i bagni con le porte tipo Far West  e i fogli di giornali vecchi tagliati al posto della carta igienica, l’alzabandiera alla mattina, e recentemente con mio cugino Giacomo e Vito ci siamo ricordati delle punizioni che infliggevano ai bambini cattivi, c’era la classica costrizione in piedi con le mani sulla testa per ore, il lavaggio dei bagni e delle toilettes, la pulizia di tutte le scarpe della camerata,ma quella più brutta, solo psicologica era quella di guardare la TV dei ragazzi (che ci facevano vedere solo un'ora al giorno) girati di schiena, ascoltando solo l’audio, senza video, quindi niente “Rin Tin Tin “o “Chissà chi lo sa”.
Sempre meglio però del Lager di Bordighera …
Nel salone dove vedevamo la televisione ogni tanto papà proiettava vecchi filmini in 8 mm di cartoni animati , di Stanlio ed Ollio o di Charlot e talvolta quelli familiari girati da lui che poi portava a casa a far vedere alla mamma che conservo ancora religiosamente,ho ancora tutto il reportage della mia vita vissuta in Colonia.
Ma io ormai avevo lasciato alle spalle questi supplizii, vivevo permanentemente nel Paradiso dell’Infermeria con l’adorabile Sig.na Giulia, la burbera Suor Giovanna e il medico Dr Giacomo Negro, diventato poi Sindaco di Pietraligure per molti anni.
Mangiavo benissimo, dormivo su materassi di gommapiuma, alle 17 ci davano il thè con i biscotti, ma soprattutto ero libero di girare nella Colonia, perché a parte le malattie, facevo la vita degli altri.
Alla mattina andavo a scuola,poi tornavo a mangiare in infermeria, poi riscendevo e ritornavo, ma soprattutto non avevo il vincolo degli altri :ginnastica, pennichella obbligatoria e rosario.
Conoscevo ogni angolo più recondito della Colonia,dalla dispensa, alla lavanderia, al deposito delle valigie, all’aia, alle cucine, alla falegnameria di Norberto il portinaio ,ed ero diventato amico fraterno di Claudio suo figlio, che, non essendo un bambino della Colonia poteva uscire liberamente e anche andare in città a Pietraligure per poi rientrare a casa sua, la portineria della colonia.
Ovviamente lo seguivo in queste “uscite” restando soprattutto nella campagna sopra la Colonia a mangiare more o carrube e a divertirci con animali insetti di qualsiasi genere, dalle api agli scorpioni, dalle cavallette alle lucertole che imparai a catturare con un lazzo d’erba (lo faccio ancora oggi).
C’era anche una piccola grotta che era diventato il nostro rifugio e il nascondiglio di ogni cosa,nel 1980 si seppe poi che Claudio in questi posti da adulto ,celebrava Messe Nere e che entrato in depressione si era suicidato, lanciandosi dalla Caprazoppa, una montagna tra Pietra e Finale Ligure.
Avevo disegnato una piantina perfetta della Colonia neppure Google Earth di oggi poteva competere con me, e informato i miei amici che c’era un tallone d’Achille nella recinzione della Colonia, così spesso io e Claudio abbiamo aiutato i vari fuggitivi, ripresi quasi sempre qualche ora più tardi.
Solo un bambino di Legnano una volta riuscì a salire sul treno alla Stazione di Pietraligure, ma andò dalla parte opposta a Milano e fu fermato dalla Polizia Ferroviaria e riportato in Colonia.
Claudio era più piccolo di me di un anno, ma già faceva il chierichetto durante le messe alla Domenica o alle Feste comandate e mi chiese se volessi affiancarlo che ne avrebbe parlato con la Madre Superiora.
Detto fatto !! entrai di diritto nella carriera Ecclesiastica.
Era un privilegio raro, perché mi distinguevo dal resto dei commilitoni, alla Domenica eravamo solo io e Claudio ad assistere il parroco nella celebrazione della Messa, ma a Pasqua, al Corpus Domini, S Pietro e Paolo eravamo 4 o 8 chierichetti, noi davanti e gli altri dietro, e, all’arrivo di mio fratello lo inserii subito nel gruppo.
Nell’anno successivo, frequentavo la seconda elementare, la Madre Superiora mi chiese se da solo con il parroco potessi celebrare Messa tutte le mattine alle 7 per le sole Suore,una ventina circa.
Accettai con entusiasmo e oltre alla Domenica ero a Messa tutti i Sacrosanti giorni avevo imparato a memoria tutti i Salmi e le preghiere assolutamente in Latino ed ero diventato molto amico del parroco, Don Rosso di Ranzi, frazione di Pietra, che spesso mi faceva assaggiare il Rosolio che lui beveva insieme all’Ostia.
Ogni tanto capitava che quando o io o lui eravamo già stanchi o assonnati ci guardavamo negli occhi in attesa delle Suore come per dirci “…e sorbiamoci questa altra rottura di….”.
Vicino all'uscita c'era la portineria dove c'era un piccolo "shop" gestito da Suor Armanda,che vendeva cartoline illustrate della Colonia da spedire a casa,santini e rosari e negli ultimi anni nel locale vicino,quello delle docce e del parrucchiere un primo distributore di Coca Cola e Fanta.
Nei mesi di Maggio e Giugno nel pomeriggio ci portavano in spiaggia, vicino al cantiere di Pietraligure, percorrevamo per raggiungerla il greto di un fiume, quando era in secca o sulla stradina vicina quando era in piena.
Nel ritornare in colonia, passando vicino alla Stazione Ferroviaria contavamo i vagoni del treno con la sequenza : Pacco, Posta, Visita, Partenza; teoricamente doveva avverarsi una delle previsioni, anche se sapevamo che per la partenza bisognava aspettare un anno intero.
In spiaggia come in Colonia ci davano la merenda: un pezzo di cioccolato con il pane o una piccola vaschetta di mele cotogne, terrificante ma molto ambita.
Però le leccornie arrivavano ogni 15 giorni intervallate dalle visite di papà, con il “Pacco postale“ che arrivava da casa: biscotti, il latte condensato al cioccolato, la crostata di frutta della zia Giulia e soprattutto il pollo arrosto freddo, che spolpavamo fino alle ossa (e che mangio freddo ancora oggi ), poi le figurine Panini,pennarelli,matite e cosa più importante la lettera della mamma.
Una volta alla settimana ci facevano spedire delle lettere ai nostri genitori , imponendoci la frase " io sto bene e così spero di voi , il cibo è ottimo e abbondante e le signorine e le maestre sono brave "; noi ricevevamo oltre alla lettera nel pacco delle cartoline illustrate, ci piacevano molto quelle con animali con gli occhi in rilievo e le palline delle pupille che roteavano.
Ogni tanto venivano a trovarci in colonia con papà lo zio Gianni,lo zio Italo, il Sig.Nino e famiglia e quando c'erano Meme e Pirilla veniva zio Enzo,insieme ad un  nostro cugino, Claudio,che abitava a Genova ricordo che una volta portò con lui un pappagallo.
Ma i giorni più belli in Colonia erano quelli in cui insieme al papà veniva a trovarci la mamma con il piccolo Lele e, quando, come nell’occasione delle Comunioni o delle Cresime,in particolare quella di Vito, venivano parenti e amici e potevamo andare liberi per Pietraligure a mangiare al Ristorante, o sulla passeggita, non più da reclusi.
In Colonia alla fine delle elementari con il diploma conquistato anche grazie alla pazienza della mia maestra Lidia ero ormai più “anziano” di tante Suore e Insegnanti che invece si alternavano nel turn-over.
Mi frequento ancora con Lidia oggi pluriottantenne, (come con Annamaria) che mi racconta che quando a scuola mi venivano i cinque minuti scappavo dall’aula sbattendo la porta e giravo libero come al solito per la Colonia.
Lei mi aveva capito e mi lasciava fare perché diceva che in fondo in fondo avevo un buon carattere. (….?? )
In colonia cominciavamo a tirare i primi calci ad un pallone,con le solite "porte" con sassi più grandi e con il campo di ghiaia,su cui lasciavamo sempre pezzi di ginocchia.
Avevamo due squadre più o meno fisse,la mia che si chiamava " la squadra di stoppa" da un telefilm dell'epoca e quella di Vito "Esmeralda" che piaceva di più ad Annamaria.
Nonostante i sette anni passati, forse per coinvolgere nel "clima Colonia" anche Lele (matricola 126) siamo tornati su nostra richiesta ,per un mese estivo per 2 anni di seguito, forse perchè sapevamo che gli altri 11 mesi li avremmo trascorsi a casa, ma anche per divertirci senza la scuola.
Ero cambiato, ed erano cambiate anche alcune Suore, in particolare c'era una nuova   Madre Superiora a cui un giorno diedi un cazzotto in faccia perché per una marachella mi diede una sberla sulla coscia.
Ero già diventato probabilmente il rissoso, irascibile, permaloso Roby di oggi.






4 commenti:

  1. Oggi leggendo queste righe sono tornato indietro nel tempo. Anch'io ho passato varie estati (Agosto dal 61 al 68) in quella Colonia. Ho notato che tu ricordi molte più cose: spesso ho detto: è vero! E' stato bello rivivere quei giorni. Ho poi scaricato due foto dal tuo blog per avere qualche ricordo cartaceo oltre che nella mente. Grazie Oriano

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  2. Anche io sono stata in quella colonia. Avevo più o meno 4 anni quindi parlo del 1964/65 e ci sono stata per circa sei mesi al fine di curare una cheratita herpetica che mi ha leso la cornea dell'occhio sinistro. Per fortuna il mio occhio si è salvato ma certo l'esperienza è stata forte e traumatica. Oggi i bambini vengono ospedalizzati con i genitori fortunatamente proprio per evitare traumi da abbondono che poi si ripercuotono per tutta la vita. Grazie per il tuo racconto e per le fotografie.

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  3. Oggi quella colonia non esiste più, anche io l'ho vissuta, ma non proprio come te, a parte l'esperienza dell'infermeria, quella è praticamente identica. Ho conosciuto tutti quelli che hai citato, suor Armanda, Claudio, Norberto, don Rosso, il dr.Negro,la Giulia ecc. ecc. E conoscevo mooolto bene anche il direttore e sua moglie, in quella colonia ho passato tutta la mia infanzia e i ricordi mi inseguono tuttora...anche perchè sia il direttore, sia sua moglie sono deceduti. Mio padre e mia madre. Ti ringrazio per avermi fatto ricordare quel luogo e quelle persone.

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  4. Anchio sono stata in quella colonia ma più di recente, era il 1976. Molte cose erano comunque rimaste simili hai tuoi racconti: l'infermiera, il refettorio, le camerate, il negozietto...le suore non c'erano più c'erano solo le signorine che ricordo molto severe e c'era una direttrice che ricordo aveva una figlia con i capelli rossi. Ci facevano fare la doccia una volta la settimana e in quell'occasione potevamo anche cambiare le mutande!! Per cena è vero c'era sempre pastina e poi insalata con il formaggio. Il tuo racconto mi ha ricordato tanti momenti potrei raccontarli all'infinito e mi ha riportato indietro nel tempo con un po' di malinconia.

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