domenica 28 agosto 2011

Viale Monza 87

E fu cosi che verso la fine del 1969 ci trasferimmo in Viale Monza al numero 87. La casa era bellissima al 6° piano, aveva 3 locali spaziosi, due balconi, ascensore, cantina, solaio e la stazione della metropolitana "Rovereto" sotto casa. Eravamo a due fermate da Piazzale Loreto , quindi vicini al centro città, e soprattutto per me, Vito e Lele c’era finalmente una cameretta  tutta nostra con 3 letti separati, a differenza della casa di Greco dove dormivamo sul divano letto in sala tutti e tre insieme.
Il mobile della nostra camera da letto ,progettato e disegnato da mio cugino Michelino era perfetto : un monoblocco con 3 letti per la notte, che richiusi lasciavano per il giorno molto spazio, dalle ante degli armadi uscivano 4 panche e 2 tavolini su cui studiavamo, giocavamo e talvolta mangiavamo.
In un paio di occasioni per dimenticanza nel richiudere i letti , abbiamo lasciato accesa la luce di cortesia, con il risultato che i materassi hanno preso fuoco e si sono dovuti sostituire con le ire e le punizioni dei miei.
Avevamo un nuovo numero di telefono 2829267 abbandonando il vecchio 671484 di Greco cui eravamo affezionati,  ed eravamo vicini alla Via Roggia Scagna dove era vissuto papà da bambino e dove abitavano ancora i suoi fratelli Michele e Ida con i rispettivi coniugi Pina e Saverio e le nostre cugine Anna e Annamaria.
Lo zio Saverio oltre ad essere un cannibale di polpi vivi era un superlativo falegname, ma noi lo ricordiamo soprattutto per il suo idioma “milanbarese”con accento sull’ultima vocale Intér, Milàn, Cius Clai (Cassius Clay), Citroen  pronunciata come letta  e i nomi baresizzati dei primi giocatori stranieri del Bari Calcio, sua e un po’ nostra squadra del cuore.
Sotto di noi c’era anche il vecchio negozio di frutta e verdura di cui papà era stato titolare fino agli anni '60; poi andò a lavorare con il Sig, Nino sempre come ortolano, per essere infine assunto come impiegato in CPV un’azienda pubblicitaria.
Eravamo anche vicini alla fermata della metropolitana di Gorla, dove c’era la nonna materna Maria con zio Italo e lì vicino la zia Lia e lo zio Oscar, inossidabile Comunista Presidente del Boschetto, dove oggi si registra Zelig e dove ancora oggi, come i Tazebao in Cina, si possono visionare gratuitamente i giornali di partito, l’Unità o il Manifesto.
Ma nonostante questi miglioramenti  nella qualità della vita, la modernizzazione e i benefici per la nuova location, eravamo tristi per aver abbandonato Greco, i nostri prati e la nostra vita spensierata e spericolata.
In quell’anno io iniziavo le scuole superiori all’ITIS Settembrini in Via Grazia Deledda a Loreto come disegnatore meccanico progettista, Vito le scuole medie inferiori e Lele la seconda elementare.
Mio cugino Michelino disegnatore di professione mi aveva regalato un tavolo da disegno usato ma in buonissime condizioni, con il tecnigrafo per poter fare i compiti a casa o per divertirmi con la matita.
Il tavolo era un vero catafalco come ingombro e la sera quando si erano tirati giù i letti per la notte lo usavo come  paravento, tra me che avevo l’ultimo letto sotto la finestra e i letti dei miei fratelli, dopotutto ero il più grande e avevo bisogno della mia privacy, anche perché da quel momento e per 10 anni prima di addormentarmi scrivevo quotidianamente il mio diario più che altro una cronaca della giornata e non volevo essere disturbato o controllato.
In viale Monza per un po’ quasi quotidianamente venivano a trovarci i vecchi amici della banda, soprattutto Gianni, con cui dividevamo la scuola e i divertimenti come cinema o bowling.
Con lui e con Meme andavamo anche alle bancarelle di giornaletti sparse per la città e al sabato alla fiera di Senigaglia perchè da qualche tempo avevo iniziato la raccolta di Diabolik che oggi è completa, ma leggevamo anche Alan Ford, Kriminal e Satanik.
Noi tornavamo a Greco quasi tutti i pomeriggi per giocare a calcio, sul campo dell’ Insubria, visto che il nostro prato non c'era più, con i vecchi amici e con nuovi come Stefano, Angelo, Maurino.
Dopo poco entrarono nella nostra cerchia anche Sandro, compagno di scuola di Vito e Ugo suo amico d’infanzia che ci hanno seguito poi nell’impresa Cuoco di Bordo/ TVE e che ancora oggi sono i nostri compagni di calcetto, ma soprattutto i nostri insostituibili amici per la pelle.
Della scuola, del movimento studentesco, delle occupazioni e degli scioperi ne ho già parlato, ma mi piace ricordare soprattutto le “bigiate“ quando c’era compito in classe o interrogazioni e non eravamo preparati, per andare con Angelo  mio compagno di Via Rovereto sempre nei soliti posti: zoo di Milano, Stazione Centrale, Giardini di Porta Venezia, cinema d’Essai aperti la mattina e nei pomeriggi quando era aperto, anche al Parco Trotter vicino a casa.
Per le giustificazioni non c’era problema, dato che la firma della mamma era molto infantile, io, Vito e Lele la sappiamo fare ancora oggi, e quindi facilmente imitabile, non si è mai accorta di nulla  e devo dire che le bigiate erano almeno due o tre al mese.
Oggi ingiustamente hanno tolto questa libertà di divertimento a tutti gli scolari e agli studenti, perché appena sono assenti grazie alle nuove tecnologie arriva immediatamente alle famiglie un sms di avvertimento: che tristezza !!!.
Mio figlio Gabriel che evidentemente ha il mio stesso DNA mi ha confessato recentemente che prima degli sms lui aveva una soluzione ancor più ardita: diceva di aver smarrito il libretto delle giustificazioni, gliene consegnavano un altro nuovo da fare firmare ai genitori che invece firmava lui, cosicché le firme che poi apponeva per bigiare erano identiche alle originali.
Mio figlio Daniel invece imitava la firma della  mamma, visto che la mia non era imitabile, per la somiglianza a  un geroglifico Egizio.
Una delle prime occasioni di socializzazione " in esterna " con le sorelle di papà è stata nel 1970 la gita per 4 giorni a Bari loro città natale o di provenienza,
Siamo partiti noi,zia Giulia,zia Angela e Rosanna,zia Tilde con lo zio Angelo e la figlia Maria Luisa e la zia Angela con la figlia Rosanna, papà e sorelle hanno voluto portarci nella città vecchia alla Basilica di S,Nicola, al porto dove ovviamente si vendevano tutti i frutti di mare crudi : cozze, tartufi di mare ,vongole e ricci accompagnati solo da una fetta di limone e poi i polpi che vengono sbattuti sugli scogli a ripetizione fino a fare una schiuma per renderli tenerissimi per essere immediatamente divorati, qui Rosanna ha fatto amicizia con un aitante ragazzo "sbattitore",facendo poi i capricci per incontrarlo guardata a vista dalla Zia Angela.
Non sappiamo se è stato per queste insofferenze che un giorno è sparita dalla circolazione,l'abbiamo cercata in giro per poi tornare in albergo ,l'ì abbiamo trovato la sua camera chiusa a chiave e abbiamo dovuto minacciare di rompere la porta per farci aprire e dirci seraficamente che si era semplicemente addormentata.
Nel tour pugliese siamo stati anche alla splendida Alberobello,nota per i suoi trulli,abitazioni di  pietra e alle fantastiche grotte di Castellana.
Abbiamo fatto la visita ai parenti , per noi ragazzi emeriti sconosciuti e al cimitero, tappa obbligatoria in ogni viaggio quando c'è papà, lì ci hanno raccontato le macabre usanze nelle cerimonie ai defunti, ma ci ha impressionato il rito dell'esumazione del cadavere dopo 10 anni in terra, quando le donne, familiari del defunto puliscono ogni singola ossa del corpo, delle oltre 100 con l'alcool,mettendole in ordine in un lenzuolo bianco, scavando nella terra qualora mancasse anche una sola piccola falange di un dito del piede, come in un film di Dario Argento.
E per chiudere gli immancabili panzerotti che si vendevano a 70 £ l'uno e avevano le dimensioni di un calzone, ma erano leggerissimi,con la mozzarella sempre filante e dal gusto eccezionale.
Nel 1972, la Gisella terza figlia di zio Enzo (dopo Meme e Pirilla) dalle sue seconde nozze si è avvelenata ingerendo dei farmaci per adulti ed è stata portata all’ ospedale di Niguarda, per la lavanda gastrica e per un discreto periodo di degenza e di convalescenza.
Meme e Pirilla si sono quindi trasferiti a casa nostra dove hanno vissuto con noi per quasi tre mesi e con cui abbiamo trascorso un periodo meraviglioso, che ha cementato la mia amicizia con mio cugino, il mio “terzo fratello”, che è stato poi nella vita il mio vero compagno d’avventure, la mia spalla, il mio confidente con cui ho condiviso tutto dalla subacquea, al calcio, alle discoteche e alle avventure con le ragazze, ai viaggi con la Camilla a Pietraligure, alle vacanze estive, alla musica di Lucio Battisti per essere infine il mio testimone di nozze e il mio autista con la sua Cadett color crema, regalatagli da suo padre, con cui  con un po’ di vergogna mi ha accompagnato in chiesa.
A proposito di musica, in quei giorni c’era il Festival di Sanremo, vinto da Nicola di Bari e Nada con “I giorni dell’arcobaleno“, ma i più ricordano “Montagne Verdi “ di Marcella Bella o “Piazza Grande“ di Lucio Dalla.
Per noi però la più bella e  innovativa fu Jesahel cantata dai Delirium, capitanati da Ivano Fossati, che sarebbe diventato negli anni a seguire uno dei più apprezzati cantautori Italiani; canzone che suonavamo maldestramente con la pianola della Bontempi (io) con la chitarra (Giacomo) e con rudimentali strumenti di percussione (Vito e Lele), esibendoci talvolta con imbarazzo davanti a parenti in visita dai miei.
Nel periodo di convivenza Giacomo ha  confermato e appalesato  la sua fama di “smontatore“, iniziata nei box di Monza l’anno prima.
Voleva infatti rendersi utile alla mamma, ed era disponibile a fare qualsiasi cosa, per sdebitarsi dell’ospitalità, soprattutto in cucina, visto che studiava da cuoco presso l’Istituto scolastico Alberghiero di Milano; sono passate alla storia le sue crespelle farcite al formaggio. Meme aiutava anche nello smaltimento della pattumiera  o nella riparazione di piccoli elettrodomestici.
Un giorno alla mamma si ruppe il ferro da stiro, immediatamente Giacomo quasi urlando disse “lo aggiusto iooooo zia …”  tra le facce sgomente di noi tre fratelli.
Si mise di buona lena con cacciaviti, pinze, martelli e smontò in mille pezzi l’elettrodomestico, poi lo rimontò,  e… meraviglie delle meraviglie funzionava !!!. Tutti a congratularci con Meme con pacche sulle spalle e la promessa della mamma di preparargli il Budino al cioccolato di cui andava ghiotto.
Sembrava tutto troppo perfetto, poco dopo infatti Vito e Lele mentre sistemavano il tavolo dove aveva fatto la riparazione, notarono che erano rimaste fuori due o tre viti e una piccola molla del ferro da stiro. Meme se ne era dimenticato, e infatti poco dopo, dal ferro usci un fumo grigiastro e il classico odore di gomma bruciata: si era fusa la resistenza, il ferro non funzionava più e fu rottamato.
Le nostre pacche diventarono sberle sul coppino, mentre  la mamma per punizione lo mise a pane e cipolla, che a lui tutto sommato andava bene, dato che in quel periodo seguiva una dieta empirica per dimagrire: un giorno solo patate lesse, alternate nel giorno successivo da un pranzo normale, e così via. Alla fine smise per gli scarsi risultati, ma soprattutto per la fame.
In viale Monza avevamo anche il problema della nostra cagnolina Susy. Per farle fare i suoi bisogni, visto che a differenza di Greco dove scorazzava libera nei prati, c’erano solo marciapiedi e, al mattino e alla sera dovevamo portarla in strada per accontentarla.
All’inizio era una novità, quindi a turno aderivamo con entusiasmo, poi diventò pesante e ci inventavamo le scuse più assurde per non scendere; arrivati invece  i tempi delle prime ragazze facevamo a gara per accompagnare la Susy, era la scusa per telefonare con tranquillità dalla cabina con il famoso gettone color bronzo con le scanalature.
In viale Monza eravamo vicini alla zia Ida ma soprattutto allo zio Michele il fratello più grande dei sette viventi di mio papà.
Lo zio aveva ereditato da papà (anni e anni d’esperienza con la Colonia) la passione per la cinepresa di filmini girati in formato 8 mm, della durata di 3 minuti, che si portavano a sviluppare dal fotografo che li restituiva sviluppati 15 giorni dopo.
Lo zio che era un tuttofare di bricolage, aveva  le mani “d’oro“, dal falegname all’elettricista, al muratore, all’idraulico, ai famosi presepi Natalizi; era un perfezionista, perché montava le pellicole  facendole diventare dei veri e propri film anche di due ore, con titoli di testa e di coda, la “Mike Film “ presenta….
Dato che erano film muti,  gli metteva in sottofondo una colonna sonora di canzoni e musiche consone al soggetto, che partivano in sincrono dal magnetofono al momento della proiezione dei film: uno spettacolo per quei tempi. Straordinario !!!.
Noi tutti eravamo precettati per la visione a casa dello zio delle sue opere di grande regista e quando la visione ci riguardava direttamente (Comunioni, Cresime, Matrimoni) restavamo incollati alla proiezione che scorreva liscia come bere un bicchiere d’acqua, con applausi finali.
Talvolta però la visione riguardava matrimoni di parenti di Bari o cerimonie di estranei e allora diventava una pizza, un vero  supplizio (al di là della perfezione del film) come per la “ Corazzata Potemkin”, che come diceva Fantozzi “ era una cagata pazzesca….”
La stessa cosa capitava con le proiezioni delle diapositive di nostro cugino Michelino, (un altro maestro nell’arte del fai da te, riparava e creava con ingegno qualsiasi cosa), quando dovevamo assistere per ore alla visione delle sue foto, peraltro bellissime e perfette.
Michelino era un superperfezionista, meticoloso, quasi maniaco. Una volta in una gita sui torrenti, volle fare una foto alla famiglia e visto che l’immagine non era a fuoco invitò i “modelli“ a indietreggiare e, proprio come nelle barzellette Lele precipitò nelle acque, salvato da papà che era l’unico che non sapeva nuotare, (ndr: solo con le pinne) che si gettò intrepido nelle rapide del fiume (per la verità un fiumiciattolo). Evidentemente come per lo zio Michele queste manie erano prerogative di tutti gli “artisti“.
Ma sul fiume capitarono altri due imprevisti;  quando si arrivava, per tenerle al fresco le bibite e la frutta  venivano messe a bagno a monte nel torrente dove c’era l’acqua corrente ghiacciatissima che scorreva; una volta mentre stavamo facendo il pic-nic vedemmo un’anguria che scorreva veloce verso valle, il Vito disse “guarda quell’anguria assomiglia molto alla nostra“ … ed era proprio la nostra, che fu inseguita e ripresa da Michelino e papà, anche se un po’  ammaccata, qualche centinaio di metri più in la.
Il secondo episodio riguarda un nostro amico Giampiero (compagno di classe alle elementati e alle medie inferiori di Lele) che abitava vicino a noi in Viale Monza. Un giorno, mentre noi eravamo a 90 km da casa su un  fiume sempre con Michelino e famiglia, fummo raggiunti in bicicletta da Vito Lele e il loro amico a cui chiesi durante il pranzo di andare a prendermi una cosa che avevo dimenticato nel bagagliaio. Gli consegnai le chiavi indicandogli quella del bagagliaio che era diversa da quella dell’accensione, anche perché all’epoca non c’era il classico manicotto di gomma nera di oggi; lui invece usò la chiave sbagliata e la ruppe nella serratura.
Dato che non avevo il doppione Michelino si prestò con la sua macchina una “Manta” rosso fuoco a portarmi a casa e a riportarmi a riprendere la macchina e a salvare Giampiero dalle ire di tutta la famiglia.
A proposito di fotografie, noi in quei periodi ci dilettavamo con la mitica Polaroid, la prima macchina fotografica a sviluppo istantaneo che mio fratello Lele aveva vinto ad un concorso del Corriere dei Piccoli Settimana, dove doveva coniare uno slogan pubblicitario adatto al prodotto; lui propose semplicemente il proverbio “chi fa da sé fa per tre“ ovvero scatta,attendi e sviluppa e vinse: è stato l’unico familiare a vincere un concorso a premi.
Un appuntamento importante era quello culinario dei “Panzerotti“ pugliesi che la mamma aveva imparato dalla zie Giulia, Ida e Pina; i preferiti erano quelli classici, con pomodoro e mozzarella, poi c’erano  quelli con la carne, con le cime di rape o con la ricotta.
C’era una vera e propria competizione tra noi per assaggiare prima della cena il primo panzerotto pronto, o semplicemente con la scusa di aiutare la mamma,  per mangiare la pasta cruda o una forchettata di pomodori pelati, oppure per consumarli freddi il giorno dopo.
La casa per giorni restava intrisa come tutti i nostri vestiti dell’odore del fritto e alla sera della cena il “profumino” si percepiva anche nell’androne in portineria al piano terra, così da fare saltare la sorpresa; chiunque avesse preso l’ascensore sapeva che in casa nostra quella sera si mangiavano  i "panzerotti“.
Poi c’era il Natale, date le origini dei familiari che non erano Sudtirolesi, da noi si organizzava il cenone alla vigilia; venivano invitati vari parenti a rotazione, ma la squadra titolare era composta dalla mia famiglia, da Giacomo,dallo zio Italo e soprattutto dalla insuperabile cuoca zia Giulia.
Oltre agli antipasti, alla pasta al forno con le polpettine, la zia era specializzata nel capitone, della famiglia delle anguille, che cucinava al forno con l’alloro o in carpioni come le triglie.
Il capitone come d’uopo veniva comprato vivo e tenuto nella vasca da bagno, per ucciderlo poi, al momento della sua preparazione, con il taglio della testa, con un colpo secco del coltello; testa che non veniva mai buttata perché era il boccone prelibato dei cannibali meridionali.
Talvolta il pesce evidentemente conscio della prossima fine, al momento della decapitazione grazie alla sua pelle viscida faceva un ultimo scatto, con inseguimenti sotto il tavolo, i mobili o il divano.
Io da disegnatore ero addetto a preparare i cartelloni, appesi alle pareti della sala da pranzo su cui indicavo il menù, i partecipanti con vari nomignoli e soprannomi e soprattutto il regolamento della serata sia per la cena, sia per i regali e per i successivi giochi di carte o per la tombolata.
A mezzanotte si spegnevano le luci, si entrava in sala con delle piccole candele accese, per deporre Gesù bambino al suo posto nella culla del presepe; poi c’era lo scambio dei regali con  abbracci e  baci.
Dopo il brindisi iniziava la bisca. All’inizio era solo la tombola con le bucce di mandarino o i fagioli come segna numeri, o a carte a 7 e mezzo, poi a “35”, punteggio di un gioco di carte che si raggiungeva solo dopo ore con il piatto che aumentava giro dopo giro e diventava interessante: io ne vinsi uno con 26.000 £ alle sei di mattina. Era un terzo del mio stipendio. Ma il gioco più avvincente era quello semplicissimo del “piattino” che alla mamma napoletana, avevano ricordato qualche mese prima i musicisti di Edoardo Bennato, amico di Vito, che erano rimasti ospiti per qualche giorno.
Il piattino funziona semplicemente  indicando il rosso o il nero nella carta da scoprire, ma quando c’erano più errori saliva a dismisura con delle somme veramente spropositate e pericolose per lo sconfitto a Napoli si giocano gli appartamenti.
Nel 1972  i miei ci regalarono il registratore per musicassette su cui incidevamo i nostri pezzi artigianali o dalla radio le canzoni trasmesse, mettendo in pausa nel momento della pubblicità e permettendo di costruirci una compilation dei successi del momento senza spendere soldi.
Una notte con Giacomo, Pirilla e i miei fratelli siamo rimasti svegli per registrare papà e zio Enzo che russavano. per farglielo riascoltare al risveglio, visto che dicevano che era una leggenda "metropolitana", oppure registravamo gli scherzi telefonici che facevamo alla Graziella imitando la voce di un bambino piccolo abbandonato dai genitori.
Ma lo scherzo più atroce l’abbiamo fatto a zio Angelo, che messo in garage il taxi faceva l’aiuto benzinaio presso un distributore.
Su suggerimento della mamma Giacomo l’ha  chiamato imitando in un milanese da “austalopiteco“  il  Libero, suo titolare. Gli disse testuale : “Angelo te lassà avert il distribudur, ghe tuta la bensina sulla strada…ven giò a vede’….
Non abbiamo fatto in tempo ad avvisarlo che era uno scherzo, lui è partito immediatamente alla volta della pompa di benzina in Viale Lombardia, dove fortunatamente era tutto in ordine.
Per anni siamo stati rimproverati dalla zia Tilde, sua moglie che quella sera lo zio si era sentito male e aveva rischiato l’infarto, anche perché era già capitato, non per causa sua, con grande soddisfazione di tutti gli automobilisti che si erano riforniti gratuitamente di carburante.
Giacomo si è reso poi protagonista però di una domenica “bestiale” cantata da Concato proprio quell’anno, consumata sulle rive del Ticino dove suo papà zio Enzo, il mio e Peppino il meccanico avevano affittato un pezzo di terreno e costruito un casotto molto pìu grande del nostro dell’orto di Greco, con porte, finestre e tetto, proprio una piccola villetta.
Una domenica invitarono me, Giacomo e Massimo da loro per farci una grigliata e per contribuire con forze giovani ai lavori in corso. Era la settimana d’intervallo alle nostre immersioni a Pietra, ma io per non smentirmi portai il mio fucile a molla per sparare ai pesci del fiume da terra, ottenendo però scarsi risultati.
I lavori iniziarono (sto già ridendo mentre scrivo…) con la sistemazione del tetto in Eternit, poi vietato nel tempo dal commercio perché si scoprì che era fortemente cancerogeno; c’era solo da fissarlo alle travi con alcuni bulloni. Meme con un equilibrio instabile per non prendere la scala si appese alle lastre di Eternit ed una di queste si spezzò in due. A questo punto zio Enzo urlando lo apostrofò con una frase che è ancora ai primi posti del nostro vintage: “Sei un insensato !!!!! Fai sempre danni !!!.
Poco dopo ripresosi dalla cazziatura del genitore, Meme volle rendersi utile per pareggiare il disastro precedente, mentre mio papà e Peppino tenevano dei paletti; lui con il martello doveva conficcarci dei chiodi: semplicissimo !!
Invece dopo il primo paletto inchiodato a regola d’arte a Meme mentre colpiva il chiodo con violenza si stacco la testa d’acciaio del martello che fini rimbalzando prima sulla spalla di mio papà, poi in testa al Peppino …. 2 a 0 per Cimabue.
Non contento della giornata sfigata verso il pomeriggio prima di tornare a Milano vide che sulla parete di legno esterna era stata disegnata la sagoma della finestra, prese la motosega e tagliò il legno ricavando  lo spazio per metterci poi la persiana; sembrava tutto in ordine questa volta, solo che all’interno della casetta c’erano degli stivali in gomma su un mobiletto sotto la futura finestra che furono ridotti a mocassini. “Insensato, insensato te lo avevo detto che sei un insensato !!!! continuò ad urlare lo zio Enzo.
Al di là del luogo splendido, immerso nella natura e del lauto pasto avevamo passato una “domenica bestiale“
Oltre al Natale c’erano sempre i Capodanni; il rito era sempre il solito, grande abbuffata a base di cotechino e lenticchie, i miei cartelli, la bisca fino alla mattina presto, ma soprattutto i fuochi d’artificio, petardi, mortaretti e raudi.
Noi eravamo sempre armati come la Santa Barbara di una nave. Addirittura un anno a casa di Giacomo in Via San Remo abbiamo fatto esplodere una castagnola militare, una piccola bomba a mano trafugata dai Paracadutisti dell’Esercito Italiano, dove Meme aveva prestato servizio : un botto allucinante, che ha fatto vibrare tutti i vetri del palazzo che hanno rischiato di infrangersi.
La mamma  mi aveva pregato di smettere,  dato che era troppo pericoloso. In quel periodo alla Fiera di Sinigaglia a Milano avevo comprato una pistola scacciacani con un supporto che permetteva di sparare razzi colorati o detonanti che si compravano in armeria; era andato tutto bene, ma un Capodanno quando c’erano da noi alcuni amici, mentre io sparavo con la pistola, loro lanciavano dei razzi, quelli con il legnetto, infilandoli in una bottiglia indirizzandoli contro il palazzo di fronte col rischio di infilarsi in una finestra. Nonostante i miei avvertimenti, a un certo punto ho posato la pistola, tenendo il mio razzo in mano e ho spostato la direzione del lancio della bottiglia, purtroppo è partita una scintilla che ha acceso il razzo che avevo in mano e dopo un sibilo sinistro l’ha fatto esplodere.
Mi si è aperto uno squarcio tra il pollice e l’indice da dove il sangue usciva a fiotti, sono stato portato immediatamente all’ Ospedale Niguarda; lì sono stato insignito del titolo di uno dei “primi cretini dell’anno”, come ha detto il medico che mi ha dato 5 punti di sutura esterni e 2 interni, mi si erano anche  semicarbonizzate due dita e, pur non avendo sentito dolore nell’esplosione ( anche papà raccontava che quando perse le mani con una bomba non sentì niente) nei giorni successivi e per un mese a causa delle forti ustioni ho passato notti insonni con dolori lancinanti.
A casa quando non si usciva si giocava con i calciatori del Subbuteo, in punta di dita, avevamo quasi tutte le formazioni di Serie A oppure giochi da tavolo come Monopoli o il mitico Cluedo.
A 18 anni ho ricevuto la famigerata Cartolina Rosa per fare il Servizio Militare, potevo essere esonerato perché ero il primogenito di un grand’invalido Civile di Guerra, ma ho tentato di farmi scartare per la mia patologia asmatica, perché lavoravo e portavo a casa uno stipendio, ma soprattutto per passare a Vito quando sarebbe stato il suo turno questo privilegio;  il primo anno mi hanno fatto rivedibile, ma l’anno successivo mi hanno preso come C3 destinato agli  uffici, quindi ho dovuto giocare il jolly di papà e ho ottenuto il congedo illimitato.
Di quei 6 giorni di militare ricordo il divertimento fra futuri commilitoni, un ragazzo transessuale in abiti femminili e la difficoltà a urinare nella provetta per le analisi; in tutti e due gli anni fortunatamente c’era un volontario che pisciava per tutti.
Tre anni dopo toccava a Vito. Eravamo tranquilli che fosse esonerato invece era cambiata la Legge e poteva beneficiarne solo il primogenito. Vito si fece il CAR a Savona con visite agli amici di Pietra e poi andò in Friuli a Casarsa della Delizia: non credo però che l’abbia digerito bene .
Lele non fu nemmeno chiamato perché era tornata la possibilità di esonerare tutti i figli dei grand’invalidi, con una dispensa ministeriale.
Nel 1979 è  terminata la mia permanenza nella casa di Viale Monza e quindi la convivenza con i miei fratelli e i miei genitori, perché mi sono sposato. Ogni tanto ho piccoli rimpianti dei nostri  periodi di gioventù,  vissuti con la spensieratezza della nostra età nello svago e nei divertimenti, ma “the show must go on“ tutto continua su binari differenti ma paralleli, riservandoci sempre nuove esperienze di vita, felicità, gioie e  soddisfazioni.
Con Vito e Lele abbiamo solo un unico vero grande rimpianto : la mancanza della mamma una donna istrionica e geniale, ma sopratutto una mamma eccezionale, unica ed insostituibile che ci ha lasciati nello sconforto e nel dolore 7 anni fa, ma il cui pensiero quotidiano non manca mai,  perchè per noi è sempre presente.

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